Di capre, Cret(a) e aglio

Le ruote del Boeing 737 si staccano dal suolo e solo ora realizzo totalmente cosa stia accadendo. Non era esattamente nelle mie corde una vacanza su un’isola greca: non ci avevo mai pensato a quella striscia di terra tra mar Egeo e Libico, eppure quando Michele mi ha chiesto distrattamente «Ti va di andare a scalare a Creta?» la mia risposta affermativa se ne è uscita prima ancora che il mio cervello elaborasse la questione. Forse mi ero soffermata solamente alla parte dell’arrampicare, da avida e scarsa arrampicatrice quale sono. D’altra parte i climi caldi o tantomeno il mare non li ho mai amati, anzi: basti pensare a come sia un dramma l’andare oltre il confine del “tocco il fondale con i piedi”. Strano come mi trovi a mio agio nel vuoto delle pareti di roccia e terribilmente infastidita dall’acqua profonda. Creta, nonostante tutto, mi ha stregata con un clima asciutto, un aspetto semplice e un mare che sa di storie e storia.
Partiamo per una vacanza senza eccessive programmazioni: biglietti a/r e un’auto a noleggio. Una settimana di libertà su un’isola fatta di “cret” (roccia, in friulano) affidandoci a Booking, a Google maps e alle ricerche fatte su di un sito di arrampicata locale (che scopriremo poi non essere esattamente aggiornato) con l’obiettivo di visitare ogni giorno una nuova falesia e zona. Già dall’aereo vedendo la brulla isola ci si accorge di quanto sia grande, ma è facendo girare il motore della piccola macchina a noleggio e volgendo verso la parte meridionale e meno turistica dell’isola che iniziamo a capire come quei sette giorni siano una grossa limitazione alla voglia di scalare.

L’ambiente è aspro, secco, brullo e lascia poco spazio al verde in un prevalere di sfumature di giallo grigiastro che vertono verso l’arancio in netto contrasto con il cielo così blu e terso da sembrare dipinto. Più ci dirigiamo verso sud e più le montagne (perché di vere e proprie montagne di tratta) smettono le macchie di verde scoprendo roccia e pareti d’indiscutibile bellezza.
Ci stiamo dirigendo verso la gola di Agiofarago (Gorge of Saints) dietro consiglio della signora del noleggio, ma Google maps ci indirizza lungo una strada sterrata decisamente poco adatta alla nostra auto così decidiamo di raggiungere la meta da Kaloi Limenes. Da lì, lungo la rocciosa costa, ci aspetta una passeggiata di un’ora circa accarezzati dal vento che increspa questo Mediterraneo dal blu intenso: percorso decisamente meno frequentato e più nei nostri gusti da montanari poco avvezzi al classico turismo. La gola si prospetta davanti a noi quasi al suo sboccare al mare. Una piccola chiesa greco-ortodossa (Aghios Andonios) del XIV o XV secolo sorge in quel luogo circondata da pareti calcaree e da ulivi. Scopriremo poi si tratti di una delle prime testimonianze della presenza cristiana nell’area assieme alla vicina piccola grotta protetta da una grata, luogo dove gli asceti del Monastero di Odighitria, presente all’imbocco della gola, si ritiravano un paio di volte l’anno.

La gola di Agiofarago

È quasi l’ora del tramonto quando ormai arriviamo nella gola e, in una luce rosata e nel silenzio della mancanza di turisti, comprendendo bene quale sia la magia del luogo e rimango stregata dalle pareti così lavorate dall’aria e dalla sabbia da sembrare grattuggie!

La mattina successiva, dopo un’omelette per colazione fatta sicuramente con almeno quattro uova, ci avviamo verso la falesia per cui mi ero fissata cercando alacremente informazioni su internet durante l’attesa in aeroporto: Plakias. Un nome, una garanzia: la parete che ci si presenta dinanzi pare artificiale per la sua forma e “placcosità”. È letteralmente una lastra calcarea verticale. Impressionante. La zona è discretamente frequentata dai turisti trovandosi a pochi passi da una spiaggia meravigliosa (la falesia è proprio sopra all’area nudista della baia!). Quando raggiungiamo la parete in tarda mattinata già una decina di climbers sono alle prese con essa e fortunatamente possiamo chiedere a un trio francese la possibilità di consultare la guida (decisamente più aggiornata e precisa del sito). Riusciamo così a scalare nell’ombra fino al tramonto essendo la parete esposta a nord-ovest; ci concediamo poi un bagno rigenerante nelle acque che si tingono del rosso sole che vi si tuffa.

Therisso, un piccolo paesino incastonato a sud di Chania (una delle principali città dell’isola, sulla costa settentrionale), è la meta successiva. Dopo uno smodato tempo percorso in auto imbocchiamo la stretta gola verdeggiante: nella parte settentrionale dell’isola il clima è decisamente più clemente e permette una vegetazione più rigogliosa tant’è che la prima parte della strada è circondata da magnifici platani e non capiamo bene dove possano essere questi settori di cui parla il sito finché, dietro ad una curva, ci si presenta un’ immensa parete strapiombante con tanto di strane conformazioni rocciose pseudocarsiche. Mi fanno ancora un po’ male mani e piedi, ma la curiosità aumenta ad ogni curva della stretta stradina: non sappiamo che settore scegliere ed infine ci fermiamo estasiati davanti ad uno con delle pareti rossastre e alcuni tiri apparentemente sul sesto grado. Fortunatamente c’è un greco con due giovani ragazze che arrampicano e proviamo a chiedere informazioni; pare sia uno dei chiodatori e ci consiglia questa parete assieme a “the big wall” poco più avanti. Siamo così stufi di starcene seduti che decidiamo di restare lì e provare quelle vie dai nomi evocativi (una si chama εφιάλτης, incubo!).

Guardo verso l’alto e sento un vivace belare e un piccolo sasso volare verso la strada appena sottostante: capre. Pare a Creta ci siano più capre che abitanti… e come scalano! Estraggo dal sacco da recupero orgogliosa il casco e lo indosso a mo’ di soldatino pronto alla battaglia: sono pronta ad affrontare le scariche caprine! Ci divertiamo sul calcare rossastro con tiri fisici divertenti e restiamo a farci fotografare dai turisti finché non cominciamo a sentire i morsi della fame e la stanchezza. Una veloce visita al borgo che pare una grande osmiza triestina e ci dirigiamo verso un paesino in una gola limitrofa dove abbiamo prenotato per la notte: un’ora di macchina per stradine di montagna e almeno un centinaio di pecore dopo ci ritroviamo in quello che pare essere un revival balcanico anni ‘90: un albergo attempato con un gestore dai lineamenti duri e baffi pronunciati, di fronte una taverna molto rustica con una tavolata di militari in mimetica che sorseggiano goliardicamente vino e fumano con i kalashnikov poggiati al tavolo. Scopriremo la mattina di essere finiti nel paese più vicino all’imbocco della gola di Samaria, meta di un intenso turismo per via del parco nazionale ed un trekking che vi si snoda per 16 km raggiungendo il mare. Incantati dalle aspre montagne ci balenata l’idea di provare questa esperienza, ma veniamo dissuasi dal viavai turistico e dai 5 euro di ingresso per una passeggiata che non ci potremmo godere per il poco tempo e per la scarsezza del cibo che abbiamo nello zaino. Facciamo dietrofront tornando alle falesie del giorno precedente e fermandoci ad un settore con una piccola grottarella che strapiomba con un calcare giallo pulitissimo. Ci accompagna un clima caldo e ventilato, capre, pecore e turisti curiosi che ci fotografano.

La sera giunge presto con il rientro dei turisti verso la città rivelando Therisso come un paesino più tranquillo: una sola taverna è aperta, colma di americani dalla stazza considerevole; ci offrono da assaggiare un bollito di pecora ed un risotto con midollo. Della cena leggera che avevamo sperato non se ne fa nulla: rotoliamo a dormire stanchi e soddisfatti.

Il giorno successivo decidiamo per un po’ di scarico e cultura: accompagnati dalla radio greca guidiamo alla volta di Knosso per visitare il palazzo del Minotauro. Ci muoviamo poi nella vicina Heraklion per il museo nazionale archeologico, tappa a dir poco obbligatoria. Lungo le strade della città e particolarmente lungo la zona del porto vecchio si intuiscono facilmente le influenze dovute alla colonizzazione bizantina e veneziana. La sera, dopo un bagno al tramonto e un cocktail in centro in un localino buio e imboscato dall’aspetto occidentale, decidiamo il da farsi per i giorni successivi optando per un ritorno e un approfondimento nella gola di Agiofarago: quel luogo ci ha stregati con i suoi colori e la sua aura quasi mistica. Ci passeremo i due giorni successivi andandocene dalla gola solo all’imbrunire. I settori sono tutti comodamente disposti sui fianchi della gola e nelle ore più calde ci godiamo la piccola baia che guarda il Mar Libico e l’aria agitata proveniente da sud con un sentore di libertà quasi ancestrale.

Knosso


L’ultima sera cerco di rallentare il passo lungo la costa aspra sperando di assorbire e portare con me un po’ di quel vento che sento accarezzarmi la pelle. Lascio Michele camminare davanti a me cercando la solitudine di un addio a questo luogo che ormai sento amico. Anche il suo passo è lento, però, nel dirigersi verso l’auto. L’idea di tornare alla vita di ogni giorno e al suo lavoro lo affatica più di quanto non lo abbia fatto il sacco da recupero colmo.
È soltanto il giorno dopo, quando l’aereo stacca le ruote dal suolo cretese che realizzo che la vacanza sia finita e, sebbene non abbia più dei polpastrelli, mi ritrovo a portare a casa un calore e un sentimento insperato.

Anche se da un tiro sono scesa piangendo per il dolore ai piedi dovuto alle scarpette nuove e dal successivo con un burnout, sorrido. Guardo Michele e lo ringrazio per questa inaspettata vacanza dal sapore mediterraneo.


Òpa!

By Tiziana

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