10.10.2015
La strada che mi vede felice spettatore delle pieghe che la mia vita sta prendendo, quasi a sorpresa poi, mi porta a Belluno il pomeriggio di questo sabato autunnale. Presenzierò alla cerimonia di premiazione del Blog contest di Altitudini.it dove la giuria ha ritenuto opportuno “investirmi” della carica di “Inviato speciale” all’I.M.S. di Bressanone.
Purtroppo o per fortuna l’idea di farmi un tragitto sulle strade delle Dolomiti, anche se ai margini di quella splendida terra d’azione d’alpinisti e romantici sognatori, senza indossare gli scarponi mi comporta un certo disagio. Escogito quindi il diversivo: dare un occhio alla nuova Ferrata della Memoria, realizzata dalle Guide Alpine di Cortina nei mesi precedenti ed inaugurata da pochi giorni. Considerando il breve avvicinamento al nuovo tracciato, questo percorso fa proprio al caso mio.
Sono le 11 esatte quando la mia auto arriva nel piccolo spiazzo destinato a parcheggio, in una bolgia di auto e personaggi vestiti dai colori sgargianti. Oggi me l’aspettavo. Oggi sapevo che sarebbe stata bolgia, ma non potevo immaginare a questi livelli! Troviamo per caso un parcheggio nei pressi del tabellone esplicativo posto all’inizio del percorso. Ci prepariamo in mezzo a gruppi di persone di cui non capisco gli intenti: alcuni paiono in procinto di partire, altri rientrano da dove invece si dovrebbe partire, altri si strafogano di panini. Siamo interdetti seppur la nostra estraneità a questi contesti “mondani” (siam pur sempre dei carnici) ci faccia sembrare dei pesci fuor d’acqua. Tale deve apparire il nostro sconcerto che un ragazzo si prende la libertà di raggiungerci per informarci che la ferrata non è percorribile.. Riporta immagini di ragazze bloccate dalla paura, issate da accompagnatori troppo caparbi o forse troppo narcisi per farle tornare sui propri passi.
L’improvvisato informatore dice che è meglio cambiare aria, che tanto dovremmo comunque tornare indietro e di non perdere tempo a prepararci.. “Andate a Cortina che ci sono altre belle ferrate”..
“Ma si dai, forse hai ragione, ma almeno un occhio preferiamo andare a darlo” – Io e Max ci guardiamo, non serve aggiungere altro.
Lasciamo l’avvilita combriccola e cominciamo, finalmente, il percorso della Ferrata della Memoria. Oltre il tabellone, subito prima di una galleria, un fangoso sentiero guida in quota e poi in leggera discesa a guadagnare la gola del Vajont, la stessa dove la sera del 9 ottobre 1963, esattamente 52 anni fa, scendeva un’onda d’acqua gigantesca e paurosa. La ferrata è stata installata esattamente per questo, per commemorare quella tragedia, quel genocidio come l’ha definito M. Corona, dalle migliaia di vittime e dai pochissimi colpevoli.
Raggiungiamo una cengia e quindi una galleria dove accendiamo le frontali. La galleria, dal soffitto piuttosto basso, segna l’ingresso nel Mondo dell’orco. E’ così che vivo questi momenti, in una suggestione di immagini della memoria e paesaggi scarni. Dopo la prima galleria ne segue un’altra, su passi amplificati dal vuoto del vecchio canale di adduzione idrica, condotto ancora esistente. Il paesaggio è pressoché identico al nostro canyon del Vinadia in Carnia: vecchi carpini stentati sporgono in un vuoto che stringe lo stomaco, placche di chiari grigi ed erbe stinte resistono da chissà quando.
Le radici degli alberi entrano nella seconda galleria assieme a noi con profondità sbalorditiva, paiono lunghissime dita d’un aye-aye gigante in cerca della preda. Fango umido poi terra riarsa e altre persone che rientrano dalla ferrata esortandoci a non continuare.
Oramai non li ascoltiamo nemmeno più.
La cengia successiva è scavata nella roccia, comincia a delinearsi a lato un salto verticale dalle dimensioni importanti, saranno almeno 150m. Si capiscono bene nel primo passaggio veramente esposto, dove va girata una costola rocciosa che le opere dei tempi andati non hanno scolpito.
Altra tratta in quota e siamo all’attacco della parte “atletica”, da qui, in teoria, non si scherza più. La prima scaletta conduce ad una serie di cavi dove incrociamo gente che sale nelle maniere più disparate, con stati d’animo alquanto differenti: dal vecchio alpinista saggio e rilassato alla stanca ragazza con gli occhi fuori dalle orbite. Eppure proseguono tutti.. Già spazientiti cominciamo una serie di sorpassi, anche piuttosto acrobatici, con una serie ininterrotta di “mi scusi”, “permette”, “grazie”.. Guadagno quota dietro a Max che non si perde in convenevoli. Nel primo tratto di ferrata le chiappe che sorpassiamo sono almeno 70. Nonostante le manovre d’acrobata lo sguardo è attirato magneticamente dagli scorci che si aprono sulla diga, sul muro di cemento che ha chiuso il normale deflusso del torrente.
Scuro, tetro, a guardarlo da qui incute terrore. Il terrore che mi portano le opere di un uomo che non sa accontentarsi di ciò che ha e vuole sopraffare la natura, in qualunque maniera ed a qualunque costo.



La ferrata alterna tratti atletici a passi più appoggiati, è comunque un itinerario da non sottovalutare. La nostra “fuga verso l’alto” si inchioda in una piccola cengia di terra e sassi dove il percorso volge verso sinistra. Almeno 10 persone attendono che poco sopra un ragazzo esca dalle “rogne”. Forse il tappo che rincorreva la bocca di tutti giù al parcheggio è lui. Max sembra avere le tarme nel sedere e rimanendo nei limiti dell’educazione, con le solite manovre acrobatiche, riesce a passare tutti ed infine anche il grosso tappo umano. Non posso che seguirlo notando che s’è unito al nostro andazzo anche un baldo giovine di Rieti. Oltre la strada è libera e possiamo salire con i nostri soliti ritmi. La ferrata è attrezzata talmente bene che verrebbe la voglia di attaccarci solo un ramo del kit da ferrata; sono talmente tanti i fittoni che penso ad un ricovero ortopedico per tendinite delle dita a fine giornata.. Ma se ci va di mezzo la sicurezza il fastidio è minimo. Sicurezza? Qua non han badato a spese: ogni tratto di ferrata è siglato (immagino indicante la difficoltà) e sono stati individuati dei punti per l’intervento dell’elisoccorso con tanto di coordinate GPS. Un lavoro egregio.
La salita continua serpeggiante guadagnando quota nei pressi della strada di cui si intuiscono le gallerie e i rumori degli automezzi. Per un attimo paragono questa situazione alla Nord dell’Eiger, dove la finestrella della Jungfraubahn portava in salvo gli alpinisti stremati. Chissà se qualcuno di quelli che seguono avrà bisogno di queste “scappatoie d’emergenza”? Lo ripenso verso gli ultimi metri verticali, dove un traverso impone l’uso della forza in assenza delle solite zanche per i piedi.


Cengia in discesa, oramai con l’orco ai nostri piedi, ultima scala verticale e raggiungiamo il sentiero d’uscita che dapprima in leggera salita e quindi in declivio porta alla strada nei pressi della diga inghiaiata del Vajont. Il monte Toc è lì con le sue dorsali scivolate a valle, spinte dall’ignoranza e dalla cupidigia di pochi idioti.
I soliti pochi idioti che cambiando i tempi e i contesti continuano nonostante tutto ad imperversare nella società.
Cambierà prima o poi?
Si dice “ai posteri l’ardua sentenza..”
Ora andiamo a Belluno, ci sono delle soddisfazioni personali che non possono attendere.




Omarut e Max
INFO UTILI: la ferrata della memoria è un percorso attrezzato con i moderni canoni della sicurezza e risale il fianco orografico destro della gola del Vajont in vista della diga del Vajont. Spettacolari alcuni scorci sul fondo della gola. Ferrata a tratti molto esposta, classificata come difficile vista la lunghezza dei tratti verticali e la difficoltà di alcuni passaggi tecnici. Raggiungibile dalla statale di Longarone seguendo per l’abitato di Codissago e quindi verso Erto/Casso. Al sesto tornante, in discesa sulla destra, una strada asfaltata con divieto porta in breve al parcheggio ove parte il percorso descritto.
Consiglio caldamente alle persone non tecnicamente/fisicamente abbastanza preparate, per evitare le situazioni spiacevoli da noi riscontrate in prima persona, di evitare la salita di questa ferrata, diventerebbe un’inutile agonia!
Sviluppo circa 700m per un dislivello di circa 260 positivi.
Tempi di percorrenza indicati : 2.15h di salita e 40 minuti per il rientro seguendo a piedi la statale e nei pressi dell’ultima galleria in discesa prendendo sulla sinistra una mulattiera che in breve riporta al parcheggio. Persone allenate possono considerare 1.30h come tempo medio di salita. La ferrata attualmente è ancora abbastanza “sporca” con zone di fango e qualche pietra instabile, tuttavia le piogge autunnali faranno il loro lavoro di pulizia.
Portare la pila frontale!
Oh là, grazie per le info! Che dici, posso portarci l’Alpinauta? 😂
Io ce la posso fare….vero? 😜
"Mi piace""Mi piace"
Tu si ma l’alpinauta non so mica sai…. ahahahahhaha
"Mi piace""Mi piace"