20 marzo 2016
“Agarat”
Agaar in dialetto carnico significa pressapoco canale; quel solco in cui, nei campi coltivati, l’acqua si accumula drenando dalle colture. Agarat ne è il dispregiativo.
Difficile fare una traduzione compiuta dal dialetto carnico alla lingua italiana, soprattutto se il termine viene assegnato a quel canale che scende in un punto preciso dei monti sopra a Verzegnis. Ma capirlo è facile grazie al colpo d’occhio che accompagna dal valico di Sella Chianzutan la visione di questo solco, incassato tra i sfuggenti prati del Monte Verzegnis a sinistra e lo slanciato campanile calcareo del Clap da Mede a destra.

A guardarlo d’inverno è quasi normale pensare “che canalaccio!”.. Sempre svalangato, la neve qui (quando c’è e non è così scontato) assume tinte marroni, segno inequivocabile del continuo scorrimento di masse ghiacciate che da bianco candore, dopo il passaggio nel trituratore dell’Agarat, diventano inevitabilmente di un brutto variegato castano.
Pensare allo scialpinismo da queste parti vuol dire mettersi in gioco e saper godere di scorci inediti e di condizioni altrove difficilmente verificabili come la solitudine in antitesi alla tentazione di percorrere itinerari magari più sciabili ma in questi giorni iper-frequentati.
Oggi è la giornata che aspetto da qualche anno. L’Agarat dovrebbe essere in condizioni giuste per essere disceso con gli sci e la conferma arriva da Gigi che l’ha percorso pochi giorni fa.
Assieme a Manuel, Cristian e Aslei lasciamo i prati di sella Chianzutan alla volta del canale che da qui non è ancora visibile. Fa già caldo, la primavera oramai è inarrestabile e le nostre figure bardate di tutto punto contrastano con gli uccellini che cinguettano e le temperature miti.
Casera Mongranda, la solita lunga strada sterrata che sale lenta nel bosco di faggio e finalmente si para davanti lo slanciato scivolo dell’Agarat.
Adesso tutti sanno di cosa si tratta.
Purtroppo le valanghe sono scese numerose in questi giorni rovinandone la parte bassa. Quanto descritto dall’amico nella sua sciata di solo 2 giorni prima non combacia con quanto ho davanti agli occhi ma vabbè, chi s’accontenta gode e non saranno due blocchi di neve a bloccarmi.
Usciamo dal bosco risalendo i prati svalangati visti poco prima, le slavine fanno sempre un disastro.. Mi chiedo come possano ogni anno trovare “materiale” nuovo da portare a valle visto che alberi così grossi non possono crescere da un inverno all’altro eppure saliamo in mezzo alla “carneficina vegetale”. Da un pò abbiamo messo i ramponi perché salire con le pelli di foca risulta impossibile. Le pendenze aumentano poi più su dove anche il panorama dietro di noi comincia a farsi vasto verso la pianura friulana.

Fa caldo.
Bocche di balena squarciano i pendii sotto il Clap da Meda e incutono reverenziale timore. Mi rendo conto che la coltre nevosa è un regalo per noi alpinisti, un regalo tanto affascinante quanto pericoloso, un lenzuolo bianco posato a casaccio e pronto a scendere a valle al variare di incalcolabili ed imponderabili elementi.
Mi ricordavo pendenze maggiori. Anni fa si vociferava addirittura di 50°. Non credo vadano oltre i 40° e nel tratto basso, non quassù. Il vento sta cambiando, sento sul volto l’arrivo al grande catino di casera Val ancora prima di vederlo.
Una provvidenziale nuvolosità ci sta facendo da parasole, mantenendo le condizioni del manto ancora accettabili per una discesa sicura. Purtroppo però il rialzo termico è inarrestabile e, per non correre troppi rischi, decido che la nostra meta finale sarà la Sella Cormolina tralasciando la vicina cima.

Quassù d’inverno ci si avventura in pochi, il silenzio è lo stesso che si gusta d’estate, e lo scorso anno con la nascita del “sentiero delle creste” ho potuto godermelo parecchie volte. La conca di Val è sempre un gioiello prezioso.
Alla sella il panorama sulla Valle del Tagliamento e del Degano ci dà il benvenuto.
Non resta che gustarci la discesa, la prima per me su questi versanti.
Scendendo in questo mare di biancore penso che sciare è forse per me la cosa che più si avvicina al volo. Sfiorare distese e dossi, gettarsi nel vuoto delle depressioni lasciando solo un leggero solco scavato nel bianco. Emozioni.
Ci attende la parte ripida, l’Agarat vero è proprio. La neve appesantita ci fa sudare parecchio, le pendenze non sono mai eccessive e scendiamo divertendoci fino alla parte bassa dove, con qualche imprecazione, ci districhiamo nella vegetazione per evitare i grossi accumuli di valanga. Rientriamo all’auto.
Questo strano inverno mi ha visto poco sugli sci, ma questo dell’Agarat era uno sfizio che volevo/dovevo togliermi da parecchio tempo.
Sciate lontano dalla folla….

Omarut, Manuel, Cristian e Aslei
Info utili: il canale dell’Agarat e la discesa dalla Cima Cormolina sono raggiungibili seguendo dal piazzale di Sella Chianzutan la strada per Casera Mongranda e, successivamente, la forestale che si inoltra verso Ovest risalendo le boscose pendici del versante meridionale del Colle dei Larici. Dopo un traverso verso Ovest, poco dopo una perdita di quota della strada, l’accesso al canale avviene lasciando la strada ed inoltrandosi nel bosco tenendo come riferimento il campanile del “Clap da Meda”. Giunti ai prati basali del canale è impossibile sbagliare strada. L’agarat è salibile con gli sci in spalla e ramponi ai piedi. In alto si spalanca la conca di Val, la sella Cormolina e l’omonima cima sono evidenti davanti a noi e sarà scelta di ognuno quale meta raggiungere.
L’itinerario dell’Agarat si sviluppa in un canale dove si incanalano le slavine dei sovrastanti pendii basali del M. Verzegnis, quindi da percorrere unicamente con condizioni di neve sicura. Dislivello da Sella Chianzutan circa 1000m. Difficoltà BSA (3.1-PD-E2).