Secondo anno di partecipazione ad Innovalp, festival organizzato dalla locale cooperativa Cramaars con il sottotitolo di “Festival delle idee per la montagna”. Una serie di incontri corposi, a volte introspettivi, altre volte piuttosto utopistici..
Il primo meeting a cui ho partecipato è stato quello del 21 marzo al museo Gortani di Tolmezzo, andava in scena la presentazione di una guida sulle Dolomiti (Lonely Planet a cura di Piero Pasini). A seguire si trattava il tema de “Il viaggio di un camminatore nella storia contemporanea della montagna friulana” con l’intervento del Prof. Fabrizio Barca.

Se la prima parte dell’incontro non mi ha particolarmente colpito, vuoi per i temi trattati vuoi per una certa demagogia turistica dove si ostentava la Wilderness delle nostre amate montagne friulane, ben altre emozioni mi hanno suscitato gli interventi degli ospiti a seguire. Anche perché mi sono sentito chiamato in causa in primis come gestore di un rifugio alpino, che di fatto, ha visto intrecciarsi la scorsa estate delle vicende legate al suo interland che nelle tanto decantate Dolomiti, si sarebbero trasformate in barzellette nel giro di pochi giorni… In secondo luogo come Ambassador del Friuli Venezia Giulia.
Il colto professore, persona dal carisma magnetico lo devo ammettere, è stato narratore di quanto provato in una sua vacanza sull’intero arco alpino orientale, una vacanza realizzata al ritmo delle proprie gambe perché fatta interamente a piedi. Dalle sue scorribande alpestri dovevano essere distillate 8 impressioni, 4 negative e 4 positive sui territori montuosi del nostro Friuli.
Se all’elenco degli elogi si intravedevano sguardi sornioni e soddisfatti tra gli astanti, alle note negative c’è stata un’alzata generale di scudi. Per come sono fatto io, a volte sin troppo propenso a mettermi in discussione, devo ammettere che quanto fotografato dal Barca corrisponde all’essenziale verità della montagna friulana.
Territori rugosi dove le emozioni sono, ancora e nonostante tutto, per pochi eletti, soprattutto perché questi territori, a parte ai residenti (e non sempre alla maggioranza di questi ultimi), restano sconosciuti ai potenziali turisti forestieri.
Ambiti inflazionati vs terre semisconosciute.
Comprensori di confine dove il centenario della Grande Guerra sta per finire con un nulla di fatto nella generale inerzia. Kilometri di linea del fronte dove restano poche macerie, sopravvissute alle altre inghiottite da vegetazione o annichilite dalle frane. Pochi i cartelli esplicativi, pochi i ricordi, pochi – quindi – gli onori che al giorno d’oggi rendiamo a chi sul fronte della montagna friulana ha perso la propria esistenza.
Moltissime persone incontrate negli stessi, soliti, ambiti e pochissime in tutto il restante territorio montano.
Incertezza dei sentieri e rarefazione degli stessi. Cartellonistica, anche transfrontaliera, carente o del tutto assente. Progettare una gita nella montagna friulana diventa alquanto difficile: alla poca offerta riscontrabile se paragonata alle “altre Alpi”, corrisponde una notevole mole di domanda che, puntualmente, si perde lungo il cammino della pianificazione per le difficoltà di trovare, ad esempio, un comune denominatore del territorio dove poter programmare più giorni di visita. Realtà separate seppur vicine, campanilismi inutili (questo ce lo metto io).
Il nulla dopo l’eventuale escursione alpestre. E si citano le terme di Arta, come esempio di piscinetta calda senza dubbio superate in qualità ed offerta dalla qualsiasi SPA del qualsivoglia Hotel dei territori confinanti.
Ferrate, tra le più belle della regione, chiuse in piena stagione estiva. E qui mi sono accalorato al punto da dover intervenire a difesa di chi, su quelle montagne, ce la sta mettendo – davvero – tutta.
Come mi aspettavo le critiche sono state guardate e valutate in malomodo ed, in parte, in maniera alquanto prevenuta.
Dal canto mio sono convinto che le situazioni riportate corrispondano a verità. Il futuro? Chi lo sa, mi piace pensare che chi vive le terre alte sarà aiutato effettivamente e sostenuto da quelle istituzioni che dicono di impegnarsi quotidianamente per lo sviluppo della montagna. Mi piace credere, forse utopisticamente, che il seme piantato ad Innovalp faccia crescere una logica virtuosa in cui i montanari (ed ho il massimo rispetto per il termine) siano coadiuvati in quelle realtà che di per sé sono molto più faticose e difficili di una qualsiasi altra attività svolta a fondovalle. I malgari, i pastori, i boscaioli, i gestori dei rifugi. Queste persone hanno il bisogno di vedere segni tangibili al loro fianco, hanno bisogno di una politica che oltre alle campagne pre-elezioni sia poi presente ed attiva, non tanto per i singoli ma perché aiutando questi “presidi d’alta quota” aiuterebbero, in generale, la montagna friulana con l’indotto che ne consegue.
Lo scorso anno mi sono gettato nell’avventura della gestione di un rifugio alpino, un vero Rifugio perché da me si arriva solo a piedi. Oltre a costi incredibili per l’avviamento della Ditta, a costi esorbitanti per l’evasione di carte relative alla “burocrazia spicciola” per lo più totalmente inutile, alla comparazione totale ed incondizionata ad un albergo di fondovalle con i relativi maggiori sacrifici, sento forte una sensazione di appagamento e gratificazione perché so di contribuire a fare del bene alla mia terra. Devo ringraziare qualcuno? Qualche amico e alcune persone del CAI di Tolmezzo. Punto. Nel senso che nessun altro si è fatto vivo. Lo sviluppo di una grossa parte di montagna carnica è sulle spalle mie, del mio socio e dei volontari, che possono essere larghe e pronte al carico, ma che ringrazierebbero di certo se qualche ente pubblico si interessasse di più a cose spicciole che i turisti trovano tanto appetibili.. Segnaletica, diffusione on-line, manutenzione ferrate e relativa burocrazia, qualche forma di sostegno o collaborazione a chi, più che per interesse, lo fa per pura passione.
Ben-essere o Ben-avere? Questo è il dilemma .. (per me, senza dubbio alcuno, la risposta esatta è la prima).
Ma sto divagando.
Un altro incontro, quello con Francesco Grandis, scrittore per Rizzoli di “Sulla strada giusta” è avvenuto a palazzo Frisacco il 22.
Spunti interessanti e senza dubbio obbiettivamente affascinanti sono stati trattati.
“Sei veramente felice? Più che felice sono contento”.
Contento, da accontentarsi, stato psichico di beatitudine, calma e benessere.
Considerazioni sulla routine che il mondo moderno ci impone, dove le vite di tutti noi sembrano fatte con lo stampino: cresci, studia, trova un lavoro, sposati, lavora, vai in pensione. A questo Francesco ha detto BASTA dopo una rovinosa caduta psicologica avvenuta oramai qualche anno fa. Da quel tonfo ha ricostruito le basi della sua vita, coltivando gli interessi che portano, secondo lui, alla felicità. Punti di vista condivisibili, prospettive di un mondo frenetico che spesso considero tali anche io, mentre sono seduto all’apice di qualche cima, guardando verso il fermento della vita di fondovalle.

Il giorno successivo sono nuovamente seduto tra le sedie della biblioteca di Tolmezzo per ascoltare Francesco Vidotto, “Il menager che ha scelto la libertà”. Vidotto abita a Tai di Cadore, a poche decine di km da Tolmezzo e sta diventando uno degli scrittori più quotati del panorama nazionale italiano. Racconta la sua storia, che riassume ed amplifica quanto detto in precedenza da Francesco Grandis: il ritorno alla natura e alle montagne in questo caso non può che rivelarsi la scelta giusta per quelle persone che vedono nella natura il fine ultimo delle loro scelte.

Ecco quindi il messaggio di fondo che incontri come questi lanciano a chi, come me, vuole anche un po’ sognare: la montagna può essere la scelta giusta per chi ci crede fermamente e ha voglia di mettersi in gioco.
Io non sono né Grandis né Vidotto, ma come loro – probabilmente all’inizio grazie al mio subconscio – ho creduto nella rivincita del territorio che mi ospita e in quelle attività che, per ora altrove, danno da vivere a intere comunità. Ci ho creduto a tal punto da investire la mia vita e, per ora, posso dire di aver preso “la strada giusta”, come dice lo scrittore. Che sia più faticosa e sempre in salita sono punti di vista che non mi fanno paura, anzi. Quindi un consiglio finale, permettetemelo, a chi confida nel lavoro in fabbrica come traguardo ultimo di vita o alla fuga dal nostro territorio per trovare fortuna: se crediamo nella nostra terra qualcosa di buono arriverà.
La Carnia merita qualcosa di meglio e l’impegno dei singoli farà la differenza da qui al futuro.
Fuarce Cjargne!