Aprile 2020
Sono tempi strani e difficili questi. Noi italiani, alle prese con il Covid 19, bloccati in casa dalle scelte governative da più di un mese a questa parte. Un periodo particolare che, credo di poterlo affermare con una certa sicurezza, probabilmente non si ripeterà più in futuro. Una pausa collettiva.. Quale migliore occasione per mettere su carta i pensieri che ci ingombrano la testa? Ho chiesto ai collaboratori di A.P.D.C. di scrivere ciò che più gli aggrada in merito a questa quarantena imposta, quarantena verso gli altri e verso le montagne. Vige ad oggi, infatti, il divieto assoluto di passeggiate all’aria aperta..
Nel seguito quindi i pensieri di Tiziana e di “Scjarazule Marazule”, una nuova amica virtuale che spero in futuro continui a contribuire a questo spazio che vuole essere comune a tutti gli amanti delle nostre splendide montagne friulane!
Sono le Pratoline a segnare le mie giornate
È quasi bruciante il sole del primo pomeriggio sulla mia pelle. Con gli occhi chiusi lascio che mi inondi, in un mondo primaverile dai colori caldi dietro alle palpebre rilassate.
Mentre ascolto assorta il cinguettio allegro dei passerotti, una lieve brezza muove i fili d’erba accanto al mio viso e fa tremolare i petali delle pratoline fiorite in abbondanza negli ultimi giorni. Bellis perennis: persino il nome scientifico pare un anelito alla delicata bellezza di questi capolini. Sui piedi nudi si posa una delle prime farfalle della stagione facendomi socchiudere gli occhi dal torpore in cui ero assorta.
Il gatto mi guarda un poco annoiato per poi girarsi a cacciare un altro insetto sul muro a secco del giardino. Alzo lo sguardo per fuggire ancora un poco lontano da casa, verso le cime delle Pesarine che si ergono orgogliose contro il limpido blu di questo cielo primaverile. In quota sono ancora imbiancate dall’ultima abbondante spolverata di una settimana fa. O erano due, forse?
Sto perdendo la cognizione del tempo.
Pare passata una vita dall’inizio della quarantena, eppure era ieri. Non lo vogliamo ammettere, ma ci siamo adattati velocemente, alla faccia della resilienza di cui ci si riempie tanto la bocca. Forse, però, è solo una mia percezione.
Il tempo è rallentato, dilatato. Un po’ come succedeva durante le vacanze estive della mia infanzia quando, con mia sorella, eravamo libere di correre nei boschi, senza curarci di altro. Ci si ricordava solo verso fine agosto dei compiti da fare e delle scarpe da indossare nuovamente. Ho ritrovato, forse, quella nostalgica percezione dello scorrere del tempo misurata con l’apertura e la chiusura della corolla delle pratoline all’alba e al crepuscolo. Il gesto gentile della natura, quasi a rimboccare le coperte a quel cuore giallo così prezioso. Mi sono ritrovata a guardare con più attenzione al fiorire delle primule e allo scorrere delle nuvole in cielo, avendo il tempo per perdermici come da bambina. La gioia della bellezza racchiusa nella semplicità.
Mi manca profondamente la montagna, però. È sempre stata, in ogni sua sfumatura, un rifugio da quei pensieri pesanti che mi attanagliavano: li abbandonavo con i primi respiri affannati inerpicandomi verso l’alto a cercare la fatica pura. Mi è sempre sorto spontaneo un sorriso sopra ad una certa quota, quasi come alle ragazzine innamorate. Non mi ha tradito mai e mi ha sempre soddisfatta con la sua imperturbabilità. Mi hanno sempre ridimensionata, le montagne, ricordandomi che sono parte di loro, seppur come un minuscola particella.
La Creta di Mimoias, in fondo alla valle, mi guarda ergendosi solitaria e io la saluto carezzandola con lo sguardo e pensando alla bella giornata trascorsa qualche mese prima con Omar, alla gioia genuina di faticare nella neve, di osservare e vivere quel mondo di dolomia e cielo. Ci aspetta ancora, lo so.
Mi congedo dai ricordi e dal prato alzandomi svogliatamente, ancora un poco assonnata. Prendo la borraccia, le scarpe da ginnastica e mi ritiro in soffitta. Accendo il pc, youtube, cerco un video nuovo tra quelli che mi spuntano nella home: Silence. Forse un po’ eccessivo, ma non guasta mai eccedere quando si cerca motivazione. In coda ad Ondra c’è un video di Bonatti che parla del suo Monte Bianco. Ottimo. Comincio ad allenarmi pensando a tutti i progetti che mi attendono una volta libera di tornare a scorrazzare per le mie montagne. Alle scalate su pareti vecchie e nuove, alle camminate così lunghe da finire con il non sentire più i piedi, alle notti sotto il cielo alpino e alle albe sulle cime. Guardo verso il Beastmaker appeso alla catena, il trave che fa da tirante per la struttura del vecchio tetto, respiro profondamente, allungo le braccia e mi sospendo ad una tacca profonda. Le unghie lunghe grattano sul legno. Non erano così da un bel po’. Sorrido e irrigidisco il corpo mentre sento il sangue lentamente gonfiare dita e avambracci.
È un esercizio di volontà, proprio come spingere le proprie forze oltre il limite, anche lo stare a casa.
Torneremo a carezzare la roccia.
Mi aggrappo a questo.
di Tiziana Romano

La montagna è il mondo rovesciato
“La lontananza è come il vento”, diceva una vecchia canzone di Domenico Modugno che cantava mia madre nei rari e preziosi momenti di allegria. La lontananza fa capire davvero chi ami e chi no. Ma anche cosa ami davvero, cosa ti fa bene e di cosa hai veramente bisogno.
In questo periodo di reclusione forzata ai domiciliari, doverosa e accettata di buon grado, credo che al primo posto della lista di ciò che amo e che più mi manca ci sia la montagna.
La montagna: la mia via di fuga. Nella vita mi sono sempre data una regola di sopravvivenza: “Lasciati sempre aperta una via di fuga, trovati sempre un piano b”.
La montagna è diventata un po’ alla volta il mio piano b.
Ho ripreso a camminare in montagna in un periodo in cui il lavoro per me era diventato una gabbia: mi ritrovavo a lavorare in un gruppo in cui non mi riconoscevo, a cui non appartenevo e con il quale non mi identificavo. Scappare in montagna era fuggire da una identità che non volevo. Avevo bisogno di cose concrete, di fatica fisica, di volti sorridenti. Ed è stato come ritornare indietro nel tempo, come tornare bambina e come riabbracciare ed essere riabbracciata da mia madre.
Riscoprivo sentieri che avevo percorso da piccola, paesi in cui avevo trascorso periodi felici da bambina, rifugi che avevo visitato e valli che avevo dimenticato. Riscoprivo gli odori tipici di ogni valle. Si, perché i boschi e i prati della Carnia non hanno lo stesso profumo dei boschi e dei prati del tarvisiano. Sarà per le diverse proporzioni fra le essenze, l’equilibrio fra il faggio e il pino, l’abete rosso e quello bianco e più su il larice, e fra le varie erbe dei pascoli ma gli odori cambiano di valle in valle e restano gli stessi anche dopo 30 o 40 anni. A meno che l’uomo o una tempesta non rompano questi profumati equilibri. E l’odore di fumo, di legna bruciata, che esce dai camini di Illegio è diverso da quello di Pesariis o di Valbruna ma è lo stesso di mezzo secolo fa. Riavvicinarmi alla montagna è stato come chiudere il cerchio della mia esistenza riappropriandomi di ricordi sopiti da cui attingere forza e fiducia in me stessa.
Pormi degli obiettivi e raggiungerli, non senza fatica, non senza sforzo. Attraversare quel bosco, percorrere quel sentiero, giungere a quel rifugio, a quella sella, a quella cima e vedere che la montagna tira fuori il meglio di te: una forza e una tenacia che non sapevo nemmeno di avere. Tornare alla montagna è davvero tornare bambini e come quando si era bambini chiamare tutti per nome, dargli del tu e diventarne amici. Salutare tutti coloro che si incontrano senza timore che non rispondano al tuo saluto. Sapere che, in caso di bisogno, lo sconosciuto che hai appena incrociato lungo il sentiero ti aiuterà.
Piccole cose impossibili in un mondo frenetico che ora si è fermato di colpo.
Ecco, la montagna è il mondo rovesciato, dove avviene ciò che ormai quaggiù non può avvenire: la condivisione, l’armonia, l’equilibrio.
E ora sono là, lontane.
Da casa vedo i Musi e le Giulie e al mattino, aprendo la finestra, nomino ad una ad una le cime che riconosco e immagino le valli che celano e le persone che le abitano: il Canin, il Montasio, la Val Raccolana, la Val Saisera.
Gianna, Ferdinanda, Andrea, Diana, Ivano, Daniela, Clelia, Marco, Fulvio e tutti gli altri. “Buongiorno, mi mancate, lo so che mi state aspettando: grazie e a presto!”
di Scjarazule Marazule
Un silenzio che sa di buono
“Che possiamo farci se la situazione è questa? Nulla, tranne essere dei bravi cittadini, dimostrare, con i nostri gesti concreti, che l’unione fa la forza, almeno crederci finché si può. Che sia strana questa immobilità forzata è fuori di dubbio, non ne siamo abituati di certo. Ma è tutto così negativo nella vicenda o c’è qualcosa di buono in tutto ciò?” Affacciato alla piccola terrazza di casa mia passo qualche ora all’aria aperta. Questo è diventato lo spazio outdoor che mi è concesso e me lo faccio bastare. Da qui mi affaccio su di un panorama che ho sempre avuto a disposizione ma del quale non mi sono mai curato troppo: finestre, tetti, auto parcheggiate e più su il Colle dei Larici e la cima dell’Amariana. E’ aprile e sono ancora imbiancati. Immagino pendii di firn, su, che i miei sci quest’anno non conosceranno, perché non si sa quanto durerà ancora questo stop generalizzato. E poi un’elemento del contesto panoramico che attira ancor più perché del tutto nuovo: il silenzio che è arrivato anche nel mio paese. Oramai abituati ad un costante rumore di fondo, il Covid-19 ha fermato le attività umane a tal punto che sento cinguettare gli uccelli più lontani e anche lo scorrere del torrente But, oltre le case.
Un silenzio che sa di buono, di pulito, di primordiale.
E’ questa una di quelle rare occasioni che, nel mio modo di pensare forse un po’ “grottesco”, permette di fare un salto nel passato. Nelle serate estive dei fuochi artificiali, durante la festa del paese, steso nel letto chiudo gli occhi e cerco di provare la paura dei soldati al fronte. Colpi secchi e grandi boati, una guerra fasulla in tempo di pace.
Inverni fa saltò la corrente per diversi giorni. Tornare ai tempi in cui l’elettricità non alimentava le nostre case fu una novità con risvolti del tutto nuovi: il balcone diventò il nostro frigorifero, la luce della stufa a legna la nostra televisione, quella delle candele il centro della casa.
Il silenzio odierno che tutto pervade doveva essere lo stesso che decine di anni fa riempiva i nostri paesi.. Qua in Carnia immagino nei primi anni 60, quando le auto cominciavano si e no a comparire sulle strade sconquassate.
E’ un periodo in cui i pensieri vagano senza un filo conduttore, senza logica. Sto perdendo i ritmi imposti dalla società e dalla “normalità”, se così la possiamo chiamare. I giorni si susseguono e si assomigliano. Gli uomini affacciati ai balconi come animali in gabbia, guardati da una natura circostante che torna a serrare gli spazi che aveva lasciato. Basta veramente poco ad invertire i ruoli e far cadere certezze radicate. Animali selvatici scorrazzano ora nei paesi, volatili vengono a trovarci in quelle vie che si sono fatte silenziose. Ieri mattina una cornacchia mi ha dato il buongiorno dall’antenna del vicino. La natura sa fare esattamente quello che ha sempre fatto senza di noi, autogestirsi. E lo fa al meglio, indisturbata nell’agire come da parecchio tempo a questa parte.
Sulla terrazza al sole la mia mente va all’ultima uscita fatta, nei pressi della cresta di confine con gli sci d’alpinismo. Era una pausa giornaliera dal lavoro stagionale. Giù, quasi rientrati alla macchina, sfilammo oltre le mura in decadimento della casera di Val di Collina e mi chiesi come mai il mondo rurale delle maghe, al giorno d’oggi, sia sempre più in crisi. Quello che da sempre dava sostentamento fu lasciato ad inesorabile decadimento, immolato ad uno stile di vita moderno e consumistico. Ci siamo dimenticati che la natura è, in verità, l’unica cosa sacra che può fare la differenza in situazioni come quella attuale del Coronavirus.

Penso a chi vive nelle città, a quanti non hanno la fortuna di avere nemmeno un piccolo pezzo di terreno dove coltivare qualcosa. A quanti dipendono dagli altri, ultimo anello di una catena che pareva ben oliata messa in crisi da un virus. Ho sempre pensato che i miei amici, anche coetanei, che hanno abbandonato la Carnia per trasferirsi in città siano stati dei pazzi; e in questo momento, lo credo ancor più con fermezza. Si ritornerà indietro? Difficile da dire, anche perché il significato del termine non può che prendere declinazioni personali. Se regredire significherà tornare verso le nostre origini, eliminare il superfluo, curare le vere priorità della vita, io posso dirmi pronto. Con paura, perché novità di questo calibro non possono che generare ansie ed angosce, ma in qualche maniera ce la faremo.
E le montagne? Quelle, probabilmente, torneranno a sfamarci e non solo a divertirci. Allora ci renderemo conto che noi carnici siamo loro figli. I boschi e i pascoli torneranno ad essere sacri, le malghe, come quelle della Val di Collina, magari, saranno ristrutturate e i vecchi fasti torneranno attuali. Le erbe spontanee raccolte saranno spesso sulle nostre tavole, mense che saranno di sicuro meno opulente ma ben più sane. Un esempio? Ho provato felicità vera lo scorso anno, mentre a giugno tenevo aperto l’uscio del rifugio De Gasperi in attesta di qualche escursionista che mai arrivava. Certo di questo, quelle sere di inizio estate preparavo lo zaino e andavo ad una cena galante con me stesso verso il bosco dei camosci, lo ribattezzai così. Qualche centinaio di metri verso le rocce, stava un piccolo bosco pensile a picco sul baratro. Lì mi sedevo a cenare. Una patata lessa e un po’ di formaggio. Niente tavola, niente sedie, niente cibo elaborato ma tanta serenità.
E poi qualche salita con gli amici si farà ancora, riscoprendo sentieri e versanti vicini a casa, tralasciati da sempre, forse da troppo.
Le cose superflue se ne andranno in sordina, come in sordina sono arrivate nella nostra vita. Lo stress da lavoro programmato, da catena di montaggio sarà solo un ricordo.
Potrebbero essere pensieri nati per il sole che mi sta battendo troppo forte in testa mentre non mi decido ad abbandonare il terrazzo, ma se non fossero tutte fantasticherie?
Tu, saresti pronto?
di Omarut