
Un territorio che nasce tra Carnia e Cadore. Una linea di confine tra grosse vette rocciose e dorsali morbide nelle forme e nei prati. Un giro ad anello per assaporare a fondo questo angolo di Carnia che racchiude in maniera esclusiva l’essenza delle terre alte come pochi altri nel circondario.
Casera Razzo. L’ora della mungitura. Passo lesto, nella solitudine di una malga che porta avanti la tradizione dei valori alpestri. Di fatto io e le mucche, quassù, siamo gli unici a godersi quest’ora di fresco su prati che sfavillano per la rugiada della notte che ancora copre l’erba a terra.
Mi incammino verso Casera Mediana, lungo una strada che d’inverno è via obbligata per gli sci alpinisti. Non c’è montagna che non cambi forma e umore al succedersi delle stagioni. Qua, con la neve, sono passato infinite volte ma con il verde acceso dei larici in questa traversata offre novità continue.
A breve distanza dalla strada sterrata il lago effimero di Razzo riempie una piccola parte dell’altopiano. Vi si specchiano i dintorni e la grande mole del monte Bivera, primo punto di passaggio per la camminata che mi sono ripromesso di percorrere.
Il lago è sempre un luogo affascinante, rilassa con le sue acque calme ed invita alla sosta, ma la strada è ancora molto lunga, scatto un paio di fotografie e proseguo oltre, verso est.
La lunga sterrata attraversa in leggera discesa una serie di praterie, di lariceti e di piccoli corsi d’acqua che cantano nonostante la tremenda siccità di quest’anno.

Casera Cjansaveit è uno spazio dove gli alpini hanno recuperato gran parte di una struttura che, altrimenti, sarebbe finita in malora. E lo hanno fatto in una maniera egregia, addobbando la malga con fiori freschi, intonaci nuovi, pulizia e prato tagliato. La cura e la passione che certe persone mettono in questa “missione” è ammirevole e genuina.



Oltre Cjansaveit la strada si stringe a sentiero. Risale dapprima boschi in fiore e pendii che sanno di natura profonda, poco prima della visione di Sauris di Sopra che scompare dietro alle alte pareti settentrionali del Bivera. Mi accompagnano 7 camosci, mi studiano da un pò. Qua le bestie non sono addomesticate come in altri territori, qua di gente ne passa poca e preferiscono mantenere il loro spazio di fuga, non si sa mai… Eleganti, spariscono tra i ghiaioni per ricomparire a tratti, accompagnandomi fin quasi alla forcella del Bivera, dove si getteranno nel sole del versante meridionale mentre io, goffo e senza il 4×4, annaspo sulle ghiaie instabili del sentiero.
La lunga dorsale porta alla vetta solitaria e la visione dei territori attorno è tanto vasta quanto sorprendente.
Il monte Bivera è una cupola che troneggia la valle del Tagliamento e quella del Lumiei, guardando in tutte le direzioni da una posizione elitaria e aristocratica. Non c’è che dire, gli occhi sono impegnati a scorrere a 360° il tripudio di cime che si mostrano senza pudore. Dal lago di Sauris, che strabilia per il suo colore indefinibile, al paesaggio lunare del Piano delle Streghe, ai colossi Dolomitici che vivacchiano con una nuvoletta a coprirne la cima fino alle vicine creste delle Pesarine, le mie montagne di roccia.




Scendo alla forcella e proseguo verso il Clap Savon. Il percorso è facile e in un paio di punti agevolato da una corda fissa che aiuta la percorrenza. La cima è una lunga dorsale arrotondata che guarda alla conca di Forni di Sopra. Caratteristica nella sua sagoma di neve, quest’inverno l’ho studiata a lungo dalle piste del Varmost. La discesa segue le linee delle ghiaie verso occidente, in direzione di quella forcella Cjansaveit che divide l’universo del bosco da quello delle sterili rocce di quassù.
Il sentiero, o quel che ne resta, segue il profilo naturale di questo canale. Della traccia resta poco, qualche palo, a volte, occhieggia dall’erba alta mentre la giusta via va trovata immaginandosela tra la vegetazione. Perdo quota con cautela, farsi male ad una caviglia qua non sarebbe edificante e mi concedo il lusso si guardare a fondo le propaggini del Clap Savon e l’avanzata dei larici che cercano di sopravvivere in questo vallone dimenticato.
Ai primi lamponi a terra capisco di essere vicino alla casera. Spunta tra le erbe, grande nella sua realtà trasandata ed è simbolo di una vita alpina che è già storia andata. Vedere queste strutture in declino e abbandono mi fa sempre pensare a come sarà il futuro. E’ strano: le malghe, la vita di fatica e sacrifici che riempiva la nostra montagna solo fino allo scorso secolo, la cura per ogni piccolo fazzoletto di prato così lontano e così conquistato. Valori che rapportati all’oggi fanno, semplicemente, sorridere. O interrogarsi? Sul piatto della bilancia, meglio una vita votata all’essenziale, vissuta ai ritmi della natura nel rispetto di queste terre o un’esistenza bombardata da milioni di informazioni superflue? Con ritmi frenetici, sbattuti da una parte all’altra di una società che si definisce del progresso ma che, in fondo, ha ben poco di buono? Pensieri di un solitario viaggiatore.




Per raggiungere Casera Tragonia, punto di passaggio che mi sono imposto oggi, ci sono un sentiero giusto e uno sbagliato. Ovviamente prendo il secondo e mi trovo a maledire il GPS sul percorso poco accennato che in maniera diretta e fisica sale alla forcella Forada a quota 2006m. La parte alta passa al di sotto di pareti dolomitiche giallastre, in perfetto contrasto con il versante settentrionale della stessa montagna che risulta essere prativo. Una zona di contrasti e sgretolamenti, di rocce antiche multicolore e grande naturalità.
Discendo lungo la piccola valle del torrente Tolina, lungo tappeti bucolici di erbe, rododendri e piccoli alberi. Sento già lontano il suono di alcuni campanacci. Le mucche circondano gli ampi spazi di Casera Tragonia, oasi dal panorama assoluto sulle cime delle Dolomiti Friulane.
Bermi una birra in questo locale ristrutturato è il minimo che un viandante d’alta quota possa fare per sostenere l’economia di quelle persone che restano fortemente ancorate con i piedi in queste rocce.
Mi rimetto in marcia, ho ancora voglia di vedere altri panorami, anche se il meteo pare essere in peggioramento. Alla verdissima forcella di Risumiela incontro le prime 2 persone di oggi. Saluto cordialmente, si straniscono a vedermi solo ma io sorrido.



L’ultima ascesa di oggi mi porterà verso la forca Rossa, nel gruppo del Tiarfin. Un punto di passaggio obbligato che raggiungerò tra fitti nuvoloni neri che vanno addensandosi e tuoni che rimbrottano nel versante settentrionale, all’ombra di pareti che occludono la vista sul temporale già in atto verso nord.
A 2000m comincia a grandinare. Accelero il passo per non finire fulminato proprio quassù. Eppure il gestore della malga mi aveva rassicurato che non avrebbe piovuto, di andare tranquillo.. E nonostante sia bagnato fino alle mutande, tranquillamente discendo il ripido ghiaione che guarda al Col delle Merende per guadagnare, lungo un sentiero che ricorda il Borneo per la vegetazione opprimente, la macchina dopo 5.30h di fantastica cavalcata alpina!
INFO UTILI: Percorso ad anello dall’ampio respiro. Concentrato di panorami e scorci meritevoli di una visita. L’anello può essere ridotto nella sua lunghezza alla forcella Cjansaveit o alla forcella della Croce di Tragonia, limitando così il dislivello.
Come raccontata l’escursione prevede una lunghezza di 20 km e un dislivello complessivo di 1700m. La difficoltà si mantiene in ambito escursionistico (E) tranne sula breve cresta che collega il monte Bivera al Clap Savon (EE) che peraltro risulta attrezzata con corde fisse senza richiedere tuttavia attrezzatura da ferrata (pochi passaggi esposti, un paio con difficoltà di I°).
Sentieri CAI: 210 (da Razzo a Cjansaveit), 212 da Cjansaveit a forcella Bivera, traccie senza segnavia per la cima del Bivera e del Clap Savon nonchè la discesa alla forcella di Cjansaveit (tutte molto evidenti), 210 da forcella Cjansaveit a Malga Montemaggiore, 211a da Montemaggiore a malga Tragonia, 209 da Tragonia alla forcella della croce di Tragonia, 224 fino alla Forca Rossa e 208 dalla forca Rossa a Casera Razzo.
Tempistiche: 8/9.00 ore per l’anello completo. Persone allenate possono tenere una media tra le 5.00 e le 6.00 ore. Il giro si presta anche ad essere percorso in 2 giorni con pernottamento alla casera Tragonia che offre servizio di rifugio.
giro di ampio respiro; il racconto pure 😉
mandi
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Grazie walker, posti fantastici
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