Identità di ghiaccio

di Bruna Scjarazule


Non avrei mai pensato che qualcosa di trasparente, effimero e freddo come il ghiaccio potesse essere un elemento integrante dell’identità di una Regione o di un popolo.
Mi sono sempre appassionata agli studi di Sociologia e di Antropologia culturale e nei miei anni “triestini” mi ci sono pure dedicata con soddisfazione. Ricordo e conservo ancora gli appunti del corso monografico sull’identità istriana tenuto dal linguista e antropologo Franco Crevatin. Ascoltavo la Storia travagliata dell’Istria e della sua gente e pensavo che, in fondo, non è molto diversa dalla nostra e da quella degli altri popoli del nord-est e della gente di confine.

In questi giorni la polemica sul riscaldamento globale si sta – scusate il gioco di parole – surriscaldando. Stiamo vivendo l’inverno più caldo di sempre e non lo dicono solo i dati storici scientifici ma la memoria di chi ha più di venticinque anni e si ricorda i pupazzi di neve fatti nel cortile delle scuole della Bassa pianura friulana. Da anni in pianura non nevica più, da mesi non nevica in montagna.
Le piste da sci sono malinconiche strisce bianche in un ambiente brullo e triste.
Le riserve d’acqua per le coltivazioni estive in pianura quest’anno scarseggeranno.

I ghiacciai stanno fondendo.

Ma i danni del global warming non si ravvisano solo nel turismo e nell’agricoltura. La desolazione penetra anche in uno strato invisibile dell’anima che è la nostra identità. E qui mi viene d’aiuto un altro mio “maestro”, il linguista Paolo Balboni, che nelle sue lezioni introduttive presentava il concetto d’identità con la metafora del “vestirsi a cipolla”: indossiamo vari vestiti, che sono le nostre “identità” (religiosa, nazionale, linguistica, culturale, familiare…) che ci formano e ci completano come individui. La più vicina alla pelle è quella più vicina al cuore.
Ora -direte voi- che nesso c’è fra l’identità di una persona e il riscaldamento globale? Nulla -pensavo io- se non fosse che una riflessione sui ghiacciai friulani mi avesse reso consapevole che, perdendoli, perdiamo una piccola ma preziosa parte della nostra identità che ci distingue come Regione e come popolo.
Noi siamo il popolo del ghiacciaio più a bassa quota delle Alpi. Noi, che non distinguiamo, come del resto fa il ghiaccio, la neve e l’acqua, fra territorio italiano e austriaco e consideriamo ” nostro” -non per possesso ma per amore- il ghiacciaio dell’Eiskar che sopravvivere sotto l’ombra della Chianevate.
Noi, che ancora per poco potremmo scegliere il mese di agosto, se andare a prendere il sole a Lignano o andare a vedere uno dei tre sopravvissuti, morenti ma disperatamente aggrappati alla roccia delle nostre montagne.
Noi che dobbiamo sbrigarci a portare i nostri figli a vedere i nostri piccoli ghiacciai perché quando saranno adulti forse non ci saranno più: saranno invisibili come fantasmi di ghiaccio, sotto la roccia e i detriti.
E allora avremmo perso non solo un elemento naturale, geografico, idrografico del nostro territorio ma una piccola parte cristallina e trasparente, luminosa e misteriosa come un diamante, che fa del nostro popolo, della nostra gente, del nostro territorio, della nostra Regione, una cosa unica.

Alla base del glacionevato del Kanin

Il ghiacciaio Eiskar è l’unico ghiacciaio ancora esistente della Carnia, situato pochi metri a nord del confine tra Italia e Austria, ed è quindi il ghiacciaio più meridionale dell’Austria. Il piccolo ghiacciaio si trova a 300-400 m dalla cima della Creta delle Chianevate-Kellerspitzen (2769 m), alla base delle pareti nord a circa 2220 m.

Il ghiacciaio  del Montasio si sviluppa per un’area di 7 ha ai piedi della ripida parete nord dello Jof di Montasio (2754 m) nella parte più orientale della catena alpina, nelle Alpi Giulie, tra i 1860 e i 2050 m slm. L’alimentazione è esclusivamente valanghiva e questo ne garantisce lo stato di equilibrio tra l’accumulo invernale e l’ablazione estiva. Lo spessore medio attuale è pari a circa 15 m con profondità massima di 24 m. Rispetto al 1917, periodo favorevole per ghiacciai alpini, il ghiacciaio ha ridotto la sua estensione di circa il 6.5% con drastiche perdite in volume pari a circa il 78% passando da 4.5 Mm3 a 1.0 Mm3.
L’importanza scientifica e ambientale del ghiacciaio del Montasio è legata alla sua posizione altimetrica che lo classifica come l’apparato glaciale a più bassa quota delle Alpi. Tale caratteristica rende il ghiacciaio particolarmente sensibile alle variazioni climatiche, molto più degli estesi ghiacciai alpini oltre i 3000 m di quota.

( fonte: I ghiacciai delle Alpi orientali- IceMemory- Ca’ Foscari)

I ghiacciai del Canin hanno perso complessivamente in un secolo circa l’84% dell’area che ricoprivano ed il 96% del loro volume. I dati conoscitivi complessivi sulla deglaciazione delle Alpi Giulie raccontano di come la superficie glacializzata sia passata dai 2.37 km2 di fine Piccola Età Glaciale (PEG) ,  terminata intorno al 1850,  ai 0.38 km2 attuali. Le stime della riduzione volumetrica indicano un passaggio delle masse glaciali dai 0.07 km3 circa della PEG ai circa 0.002 km3 di oggi. (fonte:  Monitoraggio ghiacciai del Canin – Legambiente)

Una parte dell’Eiskar nel 2005

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