30.31-08-2013
Questa avventura era nelle nostre menti “perverse” da un paio d’anni, e sobbolliva ad ogni reportage del solito biondo che bene o male è stato il primo del giro a provarla e riprovarla, nel tracciato simile a quello che anche noi abbiamo percorso o con altre varianti.
Filo conduttore sono stati i percorsi della traversata carnica, del Carnia trekking e della Karnische Hoenweg , che sono stati ripresi a tratti in questa attraversata durata un’intera giornata, cioè 24h.
L’idea infatti nasce con lo scopo di percorrere in meno di 24 h lo spazio montano che dalle sorgenti del Piave sopra Sappada in Veneto (Comelico) porta al Cason di Lanza, nel comune di Arta Terme (anche se solo politicamente perchè di fatto è in quello di Paularo e al confine con quello di Pontebba in Val canale).
Estremi che in linea d’aria distano 36km, il primo a quota 1800m il secondo a 1550m.
Estremi che sul terreno abbiamo collegato con un percorso di 55.7km con 4018m di dislivello positivo e 4265m di dislivello negativo (dati satellitari).
Estremi Est / Ovest che combaciano in pratica con i confini del territorio carnico montuoso.
Nessun senso compiuto, nessuna logica nè qualsivoglia correlazione con il comune pensare, è inutile arrampicarmi sugli specchi. Forse solo la voglia di fuggire, scappare dalla baraonda di sti tempi, cercare il silenzio, rincorrere le rocce, seguirne la memoria, godere in silenzio del tramonto e dell’alba di un giorno nuovo.
Alla fin fine in questo “viaggio” non so nemmeno spiegare cosa mi abbia spinto a camminare per un giorno e una notte interi.
La passione? L’amicizia?
Non lo so.
Ma ora che è fatta, il mio essere montanaro è un pò più pieno e completo.. Forse nella frase di Kugy che dice che “una montagna non la conosci finchè non ci hai dormito sopra” ci sta una mezza verità, e io le mie montagne le ho conosciute ancora di più perchè nella notte, invece di dirmire, ho continuato a camminare e a guardarmi intorno, a sentirmi parte di questo ben di Dio che solo pochi hanno la fortuna o gli occhi e il cuore per conoscere e riconoscere.
Racconto di una maratona alpestre
Riproviamo al solito orario dello scorso venerdì, in teoria la partenza delle 18 dal parcheggio delle Sorgenti del Piave. oggi però fra una cosa e l’altra, i preparativi e così via, ci incamminiamo -finalmente- alle 18.31. Comincia ora l’avventura, è da qui che vedrò sciogliersi man mano l’agitazione che mi ha tenuto freemente i giorni precendenti, nemmeno andassi a salire una parete N o qualche cima inaccessa. Solo camminare, il gesto che forse in questa vita mi viene meglio, solo un piede davanti all’altro, per parecchi minuti, parecchie ore.
Ci congediamo dal trasportatore di turno, lo zio del Pelle, che con le lacrime agli occhi ci incoraggia e ci ragguaglia, avesse 30 anni in meno sarebbe lui a dettarci il passo, ne siamo convinti.

Saliamo sulla strada di servizio per il Rif. Calvi, solo qualche escursionista ci incrocia in discesa, l’orario sicuramente è più quello per i rientri a valle che per le salite a monte. Ma noi siamo pacifici, sicuri del nostro incedere e con le spalle coperte da un’attrezzatura che anche se leggera darà quel conforto necessario durante la traversata.
Al Calvi ci fermiamo per una informazione e subito Renata lancia 3 birre sul bancone, sono offerte, non possiamo proprio rifiutarle. Da donna tosta non esprime giudizi negativi di fronte ai nostri progetti, anzi! Il tempo è tiranno, meglio ripartire! Al Passo Sesis il sole ha già tramontato, tira un’aria fresca e ci concediamo una pausa per dare un’occhio alla parte di cartina che ho fotocopiato, giusto per fare il punto della situazione. Nel fondo dello zaino trova posto anche una spuntata matita IKEA, dal poco peso ma dal grande valore. Me la porto per appuntarmi i pensieri che mi accompagneranno. Peccato la perda poco dopo, forse complici gli improperi di Sbriz che non capisce il mio lato “romantico” da amante trasognato dell’Alpe. Lui preferisce le bestemmie. Alla conta che io e Pelle stiamo facendo valichiamo che siamo attorno ai 20 improperi, non male considerando che è solo un’ora che ci siamo incamminati.

Il cielo sopra di noi è colmo di nuvoloni, la luce a disposizione cala sempre più man mano che scendiamo l’ampio vallone prativo di Fleons/Sesis. La creta Cacciatori ha messo il cappello e se mi giro, alle nostre spalle, è tutto nero nero anche se non sembra essere in procinto un temporale.
Passiamo vicino a una tenda dai colori mimetici, piazzata su un cocuzzolo nei pressi di un minuscolo laghetto. Appena l’inquilino ci ha intravisto si è ritirato all’interno chiudendo la zip, mamma mia che gente cordiale! Non saremmo mica così brutti! Vabbè..
Ai rideri di Fleons di Sopra oramai è oscurità, indossiamo le frontali e continuiamo la discesa verso la malga di Fleons Bassa che dovrebbe essere monticata. Dove ricordavo un sentierino ora c’è una mulattiera in via di sistemazione, credo anche transitabile con una piccola jeep.
I fari di un trattorone ci danno il benvenuto a Fleons, sono circa le 21 e dobbiamo trovare il malgaro per chiedere lumi su quanto riportato da Gigi e cioè che a Sissanis di Sotto i cani dei pastori attendono con ansia le nostre chiappe per morderle! Il malgaro compare all’imporovviso dalla selva buia, cappello di panno verde in testa, barbetta trasandata e denti incisivi assenti. Avrà 30 anni, ci chiede dove siamo diretti e quando esponiamo il nostro futuro se la ride alla grande e si propone di offrirci un posto per dormire dentro la malga. Volto la testa verso la costruzione, a sx la stanza con le caldaie per fare il formaggio dove gorgoglia acqua da un tubo di plastica nera, dall’altra la cucina-pranzo, lercia e affumicata, un fornelletto anni 60 dove cappeggia una grande moka da caffè, un tavolino, 2 sedie storte e una candela inserita in una bottiglia vuota. Il contesto ha un certo fascino ma desistiamo dall’invito e anche dal successivo che prevede la bevuta assieme di vino nero.
Dice il malgaro che i cani ci sono, e pure cattivi. Scatta il piano B che prevede lo sfruttamento di una traccia segnata sulla carta che taglia in quota (attorno ai 1670m) per raccordarsi al sentiero verso il passo di Sissanis ormai già alti e fuori dalle fauci dei cagnacci.
L’inizio è titubante, notte pesta, erbe alte e piletta Tikka Plus che non tira a più di 20m, insomma un’impresa trovare un filo conduttore tra alberi schiantati dall’inverno, buche e rii in secca.
Ma avanziano.
I rumori di Fleons vanno via via affievolendosi e noi siam sempre più immersi in una boscaglia a volte impenetrabile. La conta dei ruscelli da attraversare è una presa in giro, la cartina ha una scala eccessiva per denotare con precisione la nostra posizione, continuiamo percui mantenendo il più possibile la quota sperando di uscire presto sui prati.
Passa 1 ora e siamo ancora a lottare con le ortiche alpestri, o con gli abeti, o con delle scarpate piene di buchi, o nella melma di zone incredibilmente paludose. Alla fine, verso le 22.45 raggiungiamo la retta via, abbiamo perso circa 1 ora rispetto al sentiero tradizionale.
Rassegnazione, è inutile inveire.



Passo cadenzato e risalita del vallone di Sissanis, verso quota Pascoli. Olezzo di pecora, olezzo che va aumentando nella notte scura, sopra di noi un cielo stellato come mai visto prima, ora si, le nuvole se ne sono andate. Tra le chicchiere alzo la frontale e resto di stucco : 600/700 occhi fosforescenti che mi fissano, non c’è un rumore. Le pecoreeee! E quindi i caniiii !!! (noooooo cavolo, ci siamo distrutti per evitarli ed ora li ribecchiamo qua, quasi in cima?!?!?!) Posizione da combattimento: io in mano l’accendino con a disposizione la rastrelliera di petardi sapientemente preparata a valle per l’evenienza, Pelle e Sbriz pietrozze alla mano e bastoncini a portata di zampa. Avanti, affrontiamoli questi bastardi!! … Ma i bastardi sono a dormire altrove, sulle pecore vigila un triste recinto elettrico. Meglio così.
Scolliniamo, la temperatura è gradevole. Contorniamo le sponde del laghetto a pera, nero come la pece, e i successivi ghiaioni che scendono dalla Creta di Bordaglia. Le ghiaie sembrano selezionate con il setaccio, di dimensioni perfette, uguali. Da lontano giunge l’abbaiare di un cane, e no eh! Ma ce ne freghiamo, sarà in Bordaglia di Sopra,di sicuro non ci inseguirà.
Poi arrivare al Passo Giramondo è un attimo, il sentiero è pianeggiante se non in discesa.
Sosta tecnica, finalmente un panino, approfittiamo per cambiare le scarpe vista l’umidità crescente a terra. Fabio si inventa un brevetto imperbeabilizzante con nastro americano, sembrano i piedi di robocop. Sono le 23.59, a breve comincerà un altro giorno.
Scendiamo verso la valle del lago di Volaia, il sentiero è ripido ma non come ricordavo, per fortuna, Nonostante ciò preferisco misurare i passi, la discesa stanca le ginocchia ed è meglio andare cauti. Distanziato una cinquantina di metri dai miei amici ho anche la fortuna di beccare accovacciato nell’erba, a non più di 5 m, un giovane capriolo che mi guarda con i soliti occhi luccicanti da “profondo rosso”, ha di sicuro più paura lui di me.
Le conversazioni e i discorsi tra noi si fanno radi, segno della crescente stanchezza. Io non la sento e mi godo l’esser qui, anche se non si vede una cippa a parte le scure sagome della giogaia del Volaia e dei larici sulla strada. Troveremo compagnia più su, subito prima delle rampe finali che portano all’Eduard Pichl Hutte, qualche vacca ruminante nel mezzo della notte.
Finalmente la salita finisce, arriviamo al lago di Volaia che non si mostra, della luna nemmeno un bagliore, un indizio.
Le luci del rifugio donano un minimo conforto psicologico e valutiamo la possibilità di bivaccare in terra austriaca se presente un locale idoneo. Sono quasi le 2 di notte e con le frontali ispezioniamo ogni angolo del rifugio. Niente da fare, nessun locale invernale… La porta sarebbe aperta e dentro ci sarebbe anche un bel locale riscaldato.. Ma se poi scendono nottetempo?? Che ci possono dire? Italiani schrauSS! Italliani zempre casino?! Meglio provare al Lambertenghi, almeno lì ci capiscono.
5 minuti dopo la scena si ripete, alla ricerca del bivacco invernale che non esiste. Qualche anno fa ricordo una stufetta a legna e le brande, ora solo frigoriferi, attrezzi, una centrale termica… Siamo sgomenti, e infreddoliti. Per fortuna adattabili, volenti o nolenti ci sistemiamo in un angusto locale. Dormirò abbracciato ad un frigorifero, una comodità disarmante. Con il Pelle al mio fianco, sotto ad un telo termico cerco un pò di riposo. Il cemento è ghiacciato e la mia schiena ringrazia ma riesco a dormire un’oretta prima che la sveglia si faccia sentire. E’ ora di andare, è ora di ripartire.
Un piede davanti all’altro, nel buio.
Sono le 4.40 che saliamo, sempre nell’oscurità e nel silenzio più completi, verso la forcella Valentina. Quasi non ci accorgiamo del pazzo che ci incrocia, anche lui con la sua piletta frontale, solo soletto viaggia in direzione opposta alla nostra. Ma dove cazzo va da solo a ste ore?!?!
Alla Valentina una parvenza di chiarore è sopra alla cima della Cjanevate, ma non sarà ancora alba, solo un piccolo spicchio di luna.
Ci concediamo una sosta agli alpeggi della malga Valentina alta, ormai l’alba è arrivata e possiamo proseguire senza luci frontali. I colori del cielo verso Est sono fenomenali, sarà una bella giornata di sole. Si intravede l’Avostanis, dove dovremmo passare nel giro di qualche ora ma è lontanissimo.


Lontanissimo.
Per ora la tappa psicologica è al ristoro della Valentina bassa, dove contiamo di far colazione e scaldare il pancino, soprattutto quello di Sbriz che pare abbia la diarrea.
Ma la Valentina è chiusa. Dobbiamo per forza arrivare alla Plocken haus per scaldarci un pò.
L’atmosfera è ancora piuttosto umida e fermarsi è abbastanza sconvolgente, meglio proseguire, piano ma proseguire.
Alle 7.45 raggiungiamo la statale che scende la M. Croce; i crucchi vanno al mare, noi andiamo ai monti. E di fare una colazione degna non se ne parla, anche qua, incredibilmente, chiuso. Non che sia scoinvolto ma avrei apprezzato un paio di cappuccini per tirarmi un pò di qua. Niente, la nostra colazione sarà l’ennesima barretta energetica e un pò di polase ghiacciato. Che lusso!
Per qualche attimo cala un silenzio sconfortato tra di noi.
Sbriz dà forfeit, le “sedute” si son fatte frequenti, per lui continuare sarebbe una sofferenza, e poi è vecchio. Da ora sarà chiamato “il cacaregno”.
Ci congediamo e proseguiamo in 2. La cosa non mi smuove, sul Pelle posso contare e sono piuttosto abituato a terminare le avventure in coppia perdendo pezzi per strada.
Ci aspetta la salita verso l’Avostanis, sulla carta lo “scalino” più arduo dell’intero percorso, sono circa 1000m di dislivello da compiere passando per il Pal Grande e il Passo di Avostanis. Questa salita me la ricordo bene, anni fa percorsa sempre in 2 al penultimo giorno della traversata carnica. Vento, freddo e stanchezza, chissà se gli eventi si ripeteranno.
La stanchezza pare concentrarsi sul mio amico, ha la faccia distrutta e anche nell’essere non denota particolare freschezza. Scegliamo la strada bassa delle 2 forestali che corrono più o meno parallele e tagliano tutta la valle austriaca. Più lunga ma con pendenze costanti, si riesce ad andare ad una certa velocità senza particolare affaticamento.
La giornata è magnifica.
Alla sosta d’obbligo verso i pascoli del Pal Grande Pelle pare assopirsi, è proprio cotto. Spero non gli venga la malsana idea di abbandonarmi ma nel dubbio continuerei da solo, sto bene e posso finirla.
Sotto la cima dell’Avostanis l’amico deve valutare i passi 3 volte per la stanchezza, sembra un robot con le pile in esaurimento, io me la rido, povero Pelle.. Chissà se sta maledicendo le nostre scelte. Io no di sicuro, mi guardo in giro estasiato, come sempre per memorizzare visioni inaspettate, scorci dimenticati delle mie montagne.
Finalmente si scollina. Siamo tardi sulla tabella di marcia, molto, ci abbiam messo 3 ore dalla Plocken Haus, così non arriviamo da nessuna parte.
Al ricovero di Pramosio alta ristoro e pausa di 10 minuti per alleggerire le ginocchia, beviamo a più non posso e l’acqua dei miracoli avrà effettivamente la sua reazione: da lì in pii si va di gran carriera! Pelle è rinato, entrambi stiamo bene e la fine si fa vicina, anche se per ora pensiamo solo al rifugio austriaco dove mangeremo qualcosa, finalmente!






La discesa dal passo di Pramosio è lesta, a ritmi da gente fresca.
Alla strada di servizio della Bischof Alm mi cambio le vesti da freddo per indossare cose più comode, il sole è alto e fa caldo.
In vista della malga un piccolo gregge di pecore energiche comincia a seguirci, la capogruppo al mio fianco o subito dietro, mi sento il pastorello Peter del cartone di Heidi..
Rinvigoriti dalla vicinanza del rifugio prendiamo per inerzia l’ultima rampa che ci porta in breve agli splendidi pianori del passo Pecol di Chiaula e al vicino Steinwander Hutte.
Sosta corposa, riposante con 3 uova al tegamino servite sfrigolanti assieme a pezzi di speck in una padella antiaderente.
1 litro di coca cola. 1 litro di caffè. Quel che ci vuole per finire al meglio il giro.
Reintegrati nello spirito e nella sostanza raggiungiamo il lago di Zollner in brevissimo, è ad un tiro di schioppo dal rifugio. La conca del laghetto alpino è una perla, immersa nel verde, poche persone in giro, ci vorrebbe più tempo per fermarsi sulle verdi sponde a fare un pisolo… Altro che pisolo! Quando si capisce a grandi linee dove sta lo Zermula, e quindi il Cason di Lanza, lo sconforto mi assale, penso che non ce la faremo mai entro le 18.30, è lontanissimo.
Veramente lontanissimo.
I muscoli vanno ma le ginocchia cominciano a farsi sentire. L’importante ora è non far trasparire lo sconforto, perchè il Pelle c’ha già il suo, sconforto più sconforto sarebbe un disastro. Allora l’antidoto è solo uno: accelerare il passo. il sentiero è tutto un traverso sotto alla cima del Lodin e della Val di Puartis. Un traverso in quota che permette di allungare il passo. Si va spediti.
Il sentiero dov’esser stato ricavato sul costone in tempo di guerra, scavato nel versante in qualche punto comincia a dimostrare i suoi anni ma è comunque ben percorribile,
Alcuni dubbi ci colgono successivamente, si cerca di accorciare un pò la strada tagliando verso l’Italia, ma qua i sentieri si mimetizzano con una marea di zone brulle prive di vegetazione, con tragitti di bestie che sembrano quelli del CAI, un casino.
Nel dubbio vale il detto ” chi lascia la strada vecchia….”.. E quindi, magari allungando un pò ma sul sicuro, il sentiero austriaco 403 ci guida verso la malga di Stranig da dove conosco bene il tracciato.
Il sole va spostandosi a Ovest e gli elementi prendono una tinta dorata. Strada sterrata, si corre.
Nonostante siano quasi 22 ore che camminiamo ne abbiamo ancora, sento che potrei arrivare in Pramollo ma oramai l’idea è già stata abbandonata. Da qui servirebbero almeno 3 ore, sforeremmo le 24, non avrebbe senso. Percui oramai tanto vale cercare di arrivare il prima possibile in Lanza anche se non è una competizione con i tempi di gigetto… Anzi, oramai lo è!
Arriviamo al cippo austroungarico vicino alla malga Valbertat. Da qui solo asfalto, manca poco.
I numeri sulla sede stradale vanno scendendo, sono i resti del passaggio del giro d’Italia, il conto alla rovescia verso l’anno dell’invasione di Attila.. il 450, siamo al 550.
Pelle dice che siamo 1mm sotto alla corsa, la frequenza di passi è alta, si va alleggeriti dal fatto che in cima alla salita sarà finita. Ancora poco, 200m, poi la malga e la fine di questa splendida avventura.




Sono le 17.40 del pomeriggio, dopo 23.09h siamo arrivati, 6 minuti prima di Gigetto. Ahahah, magra consolazione.
Se penso che abbiam perso un’ora nella traversata di Sissanis posso dire che in 22 ore il percorso è fattibile senza morire. Ma la cosa non mi riguarda, tanto questa sarà la prima e l’ultima volta che faccio una cosa del genere!
Ho cercato i miei limiti ma non li ho trovati, saranno oltre altre cime, o forse oltre quella vita di fondovalle che mi attende al rientro. Per ora 2 radler grandi basteranno per reintegrare i liquidi persi e festeggiare a dovere la riuscita di questa strana avventura!
Il video!
Omarut, Cacaregno e Pelle
No caro omarut, ci avete messo più di gigetto e Valentina, che l’ hanno fatta in 22 ore e 47, ” combattendo ” contro i cani di sissanis 🙂
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mmm allora il duo degli spendidi deve mettersi daccordo perchè le 2 versioni sono contrastanti… 🙂
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E cmq come dice il biondo… Voglio le prove !!
Scherzi a parte, se uno si mette di buona lena (corricchiando) la chiude in tempi molto più stretti, ma serve parecchio allenamento, soprattutto alle ginocchia
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