25.07.2014
“C’era una volta, in un rado boschetto di abeti, un piccolo stavolo dalle pareti di cemento, costruito con fatica e sudore. Il minuto edificio dava conforto ai proprietari dopo le lunghe lavorate. Tagliare legna o fieno era motivo di sostentamento, ai tempi non si scherzava mica! Poi le cose son cambiate, probabilmente i proprietari sono passati a miglior vita e la montagna ha cominciato a riprendersi quello che era di fatto suo di diritto: la radura e quanto ci stava attorno.”
Capito per caso in questa radura, un pò perplesso, un pò preoccupato per la solitudine di questi posti “selvatici”.
Non dovevo essere qua, la meta era un’altra ma le indicazioni dell’amico di turno – errate – mi hanno fatto comunque scoprire posti nuovi che non conoscevo.
Lascio l’auto oltre Cavazzo Carnico, nella valle del Rio Faiet, qualche centinaio di metri dopo la locanda. Mi incammino sulla strada bianca che si addentra nella piccola valle, sottofondo di acque scroscianti. E’ uscito il sole dopo un mese di pioggia e l’umidità si fa sentire.
Giungo in breve ad un ponticello di legno che attraversa alto sopra le chiare acque del Faeit, all’altra sponda su di un grosso masso bianco 2 scritte indicano destinazioni diverse: Pleas o Daudaz. Non ricordano nemmeno lontanamente la mia meta : Bivacco Carcadè o Forca che sia, per cui seguo quanto riportato dall’amico: “dopo il ponte vai a sinistra!”.
Alquanto perplesso traverso su tracce queste propaggini di montagna che finiscono nel torrente, su terreno aperto piuttosto brullo. Poco oltre il tracciato rimonta a serpentine macchie di pini mughi ed erba, l’andare non è dei più agevoli. La mia iniziale perplessità prende corpo man mano che seguo in salita la traccia, il biv. Carcadè è comunque un luogo mediamente frequentato e la larghezza del sentiero che percorro cozza con tale teoria..
In un mare di ragnatele, perlopiù prese in faccia, avanzo. Fa caldo e sudo parecchio, mi chiedo spesso dove stia finendo.. Prima dell’attraversamento di un canale franoso, sul sentiero, giace la muta di una vipera.. E’ enorme!! Forse era un boa! nella mia solitudine comincio stupidamente a canticchiare e far casino a più non posso, trovarmela davanti intaccherebbe il mio proverbiale sangue freddo.
Il sentiero ora prosegue oltre il canale, tagliato a metà dalle piogge autunnali che hanno tolto il sostegno ad un rudimentale ponte di tronchi costruito chissà quando.. Poco prima giace a terra un piccone. E’ piantato nel terreno a fondo, ha il manico di ferro arrugginito.. Immagino che il suo padrone si sia ad un certo punto rotto i maroni di combattere la natura, incaponendosi a scavare la roccia rotta e franosa, e abbia lasciato perdere.
Mi calo nel canalino attento, sotto i piedi e le mani tutto scappa via in frantumi ma è un attimo e sono nuovamente nel rado boschetto di pino, accompagnato da centinaia di cicale casiniste.




Il sentiero, o ciò che ne resta, rimonta verso sinistra, è messo male. Si intravedono gradini scavati nella roccia sormontati dai resti del dilavamento dovuto alle piogge. Più su la pendenza cala e arrivo in una piccola piana dove giacciono cataste di abeti a terra, qualche fungo e rumore di acqua che da qualche parte zampilla. Abbandono il sentiero principale per inoltrarmi nella radure, in alto compare uno stavolo attorniato dalla vegetazione.
Vecchie legna da ardere, ferri arrugginiti, vetri rotti e una fontana piegata che ancora piscia acqua fresca. Accanto alla porta una targa di porcellana riporta i nomi di quelli che dovevano esser stati gli ultimi proprietari, forse uno dei picconatori.. il luogo ha un fascino ancestrale. Tutte le finestre dall’interno sono coperte con delle tendine, custodiscono chissà quale segreto.. Ma che segreto dev’esserci in uno stavolo dimenticato dagli uomini in un posto che fra qualche anno forse sarà franato!? Mi rendo ormai conto che al bivacco Carcadè non arriverò mai più, mi faccio un giro attorno e riprendo la via del rientro, cantando come uno scemo per tener lontane le vipere.
Al ponticello, oramai a valle, provo l’altra opzione, quella che indica “Daudaz”. 10 metri oltre, su di un sasso, c’è pure la scritta “Forcja”. una domanda sorge spontanea, ma perchè chi ha scritto non l’ha fatto sul sasso alla testa del ponte dove sarebbe stato più leggibile!?!
Vabbè, sentieri nuovi calpestati, avventura a 5 minuti da casa..
Omarut
INFO UTILI: escursione per i veri amanti del “Wild”, dalla strada dopo la locanda Al Pescatore in Cavazzo Carnico parcheggiare ad uno spiazzo e, dopo il ponticello prendere a sinistra.. Le tracce sono evidenti, meglio percorrerlo in autunno inoltrato o inverno per le zecche e le vipere.. Guida l’ascesa un vecchio cavo a sbalzo (probabilmente tirato per divallare legna da ardere) che arriva a breve distanza dallo stavolo Pleas a quota 495. tempi di salita 40 minuti circa, 1 passaggio EE, il resto E.
Ciao Omarut,
per andare in Forja puoi andare anche da Stavolo Pleas. Poco prima di arrivare in Pleas, in prossimità di una piccola forcella franosa invece di proseguire dritto , scendi a destra lungo un canalino segnato fino a raggiungere il rio Ortal. Da qui risali seguendo le tracce di un sentiero ben visibile verso il Cuel Brocul. Dopo una decina di minuti circa incroci il sentiero che sale dal Faeit verso Forcja, se non ricordo male dovrebbero esserci dei segni blu sugli alberi.
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Segnato per la prossima uscita!
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