Amo passare le sere d’estate con mio figlio nella casetta d’altura che i miei costruirono per gustarsi la natura. Una costruzione in muratura senza pretese che giace in un grande prato verde al limitare di un bosco rigoglioso. Tana dei ghiri durante le altre stagioni, diventa la nostra dimora per qualche giorno all’anno. Non posso definirla Montagna, le sere sono tiepide e la frescura della quota è solo un brivido accennato, ma per il piccoletto pare sia già la cosa che più rassomiglia all’Everest.
Ieri abbiamo atteso assieme il crepuscolo e sono spuntate.
A centinaia, con la loro flebile lucina, hanno disegnato l’oscurità crescente. Le abbiamo seguite, con risate sommesse per non disturbare il gufo che nidifica poco sopra il nostro tetto.
L’ho visto felice mentre rincorreva quei chiarori accennati, sognante alla vista di quei piccoli trofei luminosi, catturati per pochi attimi dentro ad un vasetto di vetro.
Le nostre menti vagabonde erano già altrove: la sua, sognatrice di piccoli Mondi inesplorati, volava in groppa a quei minuscoli insetti alati e luminosi.
La mia ha seguito la bussola delle emozioni, ha valicato i tempi trascorsi per tornare quella di un bimbo.
Ora, accanto a mio figlio, c’è anche suo padre bambino che regge una ciotola piena di speranze e scoperte.
Corri piccolo, fai brillare i tuoi sogni come le lucciole dei prati di montagna. Sii forte come una parete dei nostri calcari; tranquillo come un lago alpino al tramonto, ondeggiante alle correnti ed alle passioni della vita ma sempre attaccato alla tua terra come il larice sta sulle creste; travolgente – come la valanga – quando chi ti ama avrà bisogno di te.
Soprattutto vagabondo, ingordo di cime e panorami, per liberarti dai condizionamenti di chi ti vorrebbe numero della moltitudine, tono di grigio in una vita in bianco e nero.
Il vasetto delle lucciole s’è svuotato.
Vai e brilla figlio mio…