08.12.2016
L’otto dicembre è una di quelle date sacrosante del mio calendario annuale. Una data destinata alla salita del Monte Amariana da sempre, sin da giovinastro e soprattutto dopo alcune vicende di vita che mi videro – ai tempi – “votarmi” alla Madonnina dell’Amariana. Da diciottenne rischiai infatti, in una notte di primavera, di finire con l’auto di mio padre in un precipizio di 150m. Non so bene ancora oggi come abbia fatto quella notte a cavarmela ma tant’è che se sono qui a raccontarla, così si dice, mi piace pensare che una parte di merito ce l’abbia anche la Signora che guarda la Carnia dall’alto. Da allora salgo al suo cospetto almeno 3 volte all’anno, rispettando le feste comandate. Un voto particolare e molto sentito.
L’otto dicembre ricorre l’Immacolata Concezione e dai tempi degli “amici dell’Amariana” i carnici che vanno per monti si ritrovano sulla cima per celebrare una Messa senza tanti fronzoli ma comunque densa di emozioni. Non sono un clerico ma immagino che celebrare una funzione in una cattedrale del genere sia un gesto particolare anche per loro. La chiesa lassù ha pareti panoramiche e per tetto la volta celeste, meglio di così..
Quest’anno che sulla cima ci fosse bolgia si intuiva già nel basso. La quantità di automobili parcheggiate in tutte le maniere lungo gli ultimi tornanti della strada era superiore alla media dei miei ricordi.
Sono ridisceso quindi 4 tornanti prima di trovare un posticino per la Carniamobile. La cosa non mi ha infastidito di certo, allungare l’esposizione all’aria aperta è una prerogativa che mi piace avere quando esco per monti.
Oggi mi sono imposto di camminare gustando l’essenza di una salita solitaria. Non voglio correre, non voglio un passo celere che mi farebbe perdere quei piccoli particolari che rendono speciale anche l’uscita meno rinomata. Oggi desidero solo scrutare con occhi nuovi questa montagna che reputo, peccando forse di superbia, anche un po’ mia.
Che sia l’abbraccio di un carpino alla propria prigione di pietra quello che ricorderò di questa ascesa? La grossa pianta è nata all’interno di una nicchia nel bel mezzo di una grossa placca calcarea. La tenacia dell’albero vincerà sulla dura pietra?
Le voci si rincorrono lontane, c’è chi sale da sotto di gran carriera, c’è chi scende dalla cima dopo aver pernottato sulla vetta. Tutti modi differenti per omaggiare la Signora della Carnia. Io salgo con i miei pensieri sbatacchiato come un flipper dal sentiero che a tutte curve risale lentamente la dorsale meridionale del monte. L’inversione termica si fa sentire e proseguire in maglietta e pantaloncini pare strano ma quasi dovuto.
Mi fermo all’inizio dei prati che sono sorvegliati dall’alto dall’ albero solo. Lassù qualcuno, ai tempi, stabilì che la sosta psicologica obbligatoria per la salita alla cima doveva essere fatta lì, sotto le fronde di un albero che è cresciuto solitario in mezzo al grande prato che sorregge le rocce della vetta.
Incontro una voce conosciuta, quella di una brava signora che ha contribuito a rendere una personcina migliore mio figlio: la maestra da poco andata in pensione. Mi accodo volentieri al trio guidato dal fratello, c’è anche la nipote Astrid. La salita si allieta ulteriormente, non fosse già per la splendida vista che va man mano spaziando nei panorami, per i siparietti tra padre burbero e figlia volenterosa.
“La cima oggi non sarà per te, è pericoloso” borbotta il papà. “Ma dai, siamo qua, andiamo su!” risponde la figlia.
Ha ragione, fermarsi all’albero solo oramai sarebbe un vero e proprio peccato. Quindi mi propongo di accompagnare zia e nipote fino alla cima. Il papà mi guarda di storto ma la sorella, ridacchiandosela, aggiunge “abbiamo Omar che ci guarda, lui è del Soccorso Alpino, tranquillo” e riparte verso l’alto.
Ok, la prima volta che faccio da accompagnatore a qualcuno. Una bella sensazione anche se non vedo la corrispondenza tra essere un volontario del Soccorso Alpino e un superman in grado di proteggere le pulzelle da tutti i pericoli dell’Alpe. Ma tant’è, la cosa mi lusinga.
Astrid e Pia salgono rapide, io dietro. Mi piace confrontarmi con chi si accosta da poco alla montagna. Mi piace cercare di capire cosa provi una ragazza in un’esperienza che è di sicuro fuori dal suo ordinario. Mi piace cercare di vedere con i suoi occhi quello che, adesso, ci sta circondando e a cui io, volente o nolente, comincio ad essere assuefatto.
Il canalone ha attrezzature nuove, da poco sistemate dalle guide alpine. Il grosso delle persone sta già scendendo, noi siamo salmoni contro la corrente. Come sempre una corrente variegata di uomini, donne, cani e sassi. Ma perché non li lasciano a casa in questa occasione?
“Che faticaccia! Ma quando finisce?” mi chiede Astrid. “A breve, dai, da quella forcella alla cima manca pochissimo”.
Siamo nel mezzo delle rocce sommitali, qua sull’Amariana le fessure e i diedri sembrano state create con logica architettonica. Linee parallele, a volte perfette. Le fondamenta della cattedrale.
Raggiungiamo la forcella. La ragazza non crede ai suoi occhi affacciandosi sul versante Nord, è estasiata. Da qui l’orizzonte goduto solo a metà fin’ora, si riunisce prendendo una forma circolare e a tuttotondo dalla Carinzia, alla Carnia, alle Dolomiti. Astrid è stupita, lo sono pure io.
Dieci minuti dopo calchiamo i prati sommitali assieme. La fatica è già un ricordo lasciato nel canalone, la gioia della cima ha preso il predominio. Gioisco anche io, come sempre quando sono quassù e oggi particolarmente perché mi sento parte di questa piccola/grande realizzazione.
Con occhi nuovi mi godo la cima e quello che da qui si può vedere. Ho sempre pensato che dalla punta dell’Amariana è come avere stesa davanti una cartina della Carnia. Si vede tutto, o quasi. E si capisce anche che la Carnia è un fermento di terre aspre e dolci, un dedalo di profonde valli e grigi picchi, di verdi cime e scuri boschi.
La mia terra è uno spettacolo, la guardo dall’alto da oramai vent’anni e non mi sono ancora stancato di tutto quello che mi circonda. Oggi l’ho vista diversa perché guardata con gli occhi giovani di una ragazza e mi è piaciuta ancor di più.
Scrivo questi pensieri legati al 8 dicembre 2016 il primo giorno del 2017.
Voglio augurare, a quanti seguono il mio Blog, un anno carico di felicità e soddisfazioni ma soprattutto un futuro da vivere con occhi nuovi. Cambiare punto di vista può essere difficile ma a volte porta a conseguenze tremendamente positive. Questo mi è successo oramai l’anno scorso, il futuro è tutto da scrivere e da guardare… con occhi nuovi!
Buon 2017!
Ormai, quando scrivo un commento ai tuoi articoli, vado direttamente nei messaggi “templates”, quelli già pronti: grazie Omarut, fa sempre piacere leggere quello che scrivi, i sentimenti che metti nella tua quotidiana condivisione di quel mondo magico che è la montagna Carnica, sono la prova dell’amore che hai per la Montagna. Grazie perché porti un po’ d’aria di cresta anche a 6000 km di distanza,dove creste ce ne sono poche e grazie perché non dai mai per scontato niente, soprattutto la fortuna di poter salire sull’Amariana ogni volta che vuoi. Dade è fortunato ad avere un papà così. Ci vediamo presto, Carnico, e magari andiamo a farci una scarpinata da qualche parte.
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Ciao Omar, l’Amariana vuol dire molto anche per me, che di carnico ho avuto soltanto la nonna. E’ emozionante pensare che faccia da contenitore per emozioni tanto diverse, di persone diverse, che probabilmente non si incontreranno mai ma i cui piedi hanno camminato sullo stesso sentiero.
Sei fortunato a poterci salire ogni volta che vuoi.
Mandi.
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Hai ragione.. Una bella fortuna e spesso ci si dimentica di averla! Buona montagna Carnico dentro 😉
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