2436m di solitudine

Non tutte le grandi montagne hanno un nome.

Ce ne sono di minute e silenziose, inosservate perché spesso accostate a cime più vigorose che rubano la scena delle fotografie e dei selfie con le loro croci di vetta.

Vertici di terra a cui non è stato dato nemmeno un nome, ritenute secondarie per mille motivi che, a volte, ereditano senza un perché.

Il lungo arco dei monti di Volaia, grigio ed imponente, visibile come una muraglia che si erge al cielo già da parecchi km di distanza, è quanto di più vicino possa accostare alla mia personale definizione di montagna carnica. L’ho sempre visto lì, dirimpettaio di quel Cogliàns che è ladro di attenzioni in quanto cima più alta del Friuli.

La giogaia dei monti di Volaia è un arco quasi perfetto che limita la vista verso nord e ruba la scena all’intorno. A destra la sagoma triangolare del monte Capolago pare un’enorme piramide, con fattezze perfettamente regolari e un lato che affonda la sua origine nei pressi del fondovalle.

Poi lo sguardo si perde a sinistra, su una serie di cime e torri calcaree che sanno di repulsivo. In effetti la prima cima con qualche frequentazione è quella del Sasso Nero, che si erge ancora più a occidente. Montagne scontrose, solitarie, che forse non tollerano troppe visite ed innalzano pareti verticali quasi insuperabili.

Dal Sasso Nero la cresta degrada e si fa più mansueta nei pressi della Tacca, parte bassa e addolcita nell’ossatura di queste cime. Dalla “sella” la catena di protende verso nord e culmina con il Monte Volaia a 2470m, la cima più frequentata del circondario e che da nome all’intero gruppo di cime, seppur non sia più alta delle altre.

Ecco. Lo sguardo curioso degli appassionati termina qui, seppure questo colosso roccioso, figlio di epoche in cui i coralli dei mari dividevano abissi e terraferma, continui ancora lungamente verso il passo Giramondo, in direzione della vicina Austria.

Oggi l’amico Marco mi propone la scoperta di quelle propaggini che non avevo mai considerato, perché troppo vicine al mondo di cime famose che, bene o male, tutti vogliono salire. E di base l’idea di vagare dove nessuno ha stabilito l’andare dei tuoi passi con dei sentieri è una condizione che mi affascina, in questo periodo che mi vede profugo volontario dalle cime blasonate.

Ben venga quindi la proposta di una visita alla “quota 2436”, altura che dovrebbe serbare memorie di un passato dove la guerra fu vissuta da soldati che abbracciarono quelle dorsali a denti stretti.


Questo sentiero lo conosco, o almeno qualcosa mi suggerisce di averne già calcato il tracciato qualche anno fa. Ho ricordi sbiaditi di un percorso con una pendenza media importante – “a Collina non perdono tempo in divagazioni” – e qualche fioca imprecazione per la fatica. Ma oggi saliamo tranquilli, tra discorsi che rimbalzano tra i boschi colorati che vanno all’autunno e le pareti della Creta di Chianaletta che restano imperturbabili al di sopra di tutto.

Ci sono prati stinti da raggiungere in alto, verso i ruderi della casera Chianaletta che resistono all’oblio del tempo che passa. Abbiamo lasciato il lungo bosco di abeti e l’odore permeante dell’umidità autunnale. Ora il cielo è blu e cominciamo a respirare un po’ di quel panorama silenzioso che i cieli d’autunno regalano in giornate speciali, come pare essere questa: l’inversione termica divide il mondo del basso da quello dell’alto, porta silenzi profondi e temperature ideali per starsene quassù, anche solo seduti su di un masso a guardarsi attorno.. Ma noi oggi vogliamo salire ancora e la metà è piuttosto lontana.

Camminando non possiamo evitare qualche commento sulla vicina zona del Tuglia, dove progetti indecorosi prospettano la costruzione di una strada, o meglio definire autostrada per le dimensioni e gli spazi, proprio dove pareti e boschi di larici hanno trovato uno spazio di pace e compromesso. “Ci starebbe un bel casello, poi magari un paio di autogrill e l’asfalto visto che la montagna va valorizzata”.. Si scherza per non piangere. Ancora non mi capacito di come la miopia di certe scelte passi inosservata nel silenzio generale di chi abita le nostre montagne. Ma lì, tra Tuglia e Chiampiut, un gruppo di persone si è organizzato e qualcosa di bello sta nascendo, propositi per una fruizione genuina e sincera. Un esempio di come dovrebbe essere la valorizzazione di cui tanto si parla, spesso a vanvera, e che nulla concretizza.

Ci riportano alle fatiche di questa ascesa alcune impronte fresche che osserviamo in un tratto fangoso. Poco prima, dall’altra parte della piccola valle, una pecora e una capra, probabilmente scappate dalle greggi dell’estate, vagavano inselvatichite brucando l’ultima erba di quest’autunno. Forse l’inverno non lo vedranno. Queste impronte sono certamente di orso, stupende nella loro rotondità e nitidezza, dev’essere un esemplare piuttosto grosso. E’ la seconda volta che mi capita di vedere delle tracce di plantigrado, la prima fu a sella Nevea, nella neve.

Sguardo verso sud-ovest

Contenti di questa scoperta proseguiamo verso l’alto oltrepassando la ripida dorsale prativa che permette l’accesso alla Tacca del Sasso Nero e che ha fatto da skyline alle mie serate passate a Malga Morareto. E’ qui che finiva l amia giornata, quando il sole si nascondeva dietro ad un grosso masso dalla strana forma trapezoidale. Il sentiero, ben marcato nella parte finale, ci porta alle costruzioni della prima guerra mondiale. Cemento, ferro e fatiche sono ancora qui ben testimoniate lungo tutta la cresta che salta a settentrione, violenta, sull’alta valle del Wolayer Bach.

Il sentiero CAI 176 continua testardo verso nord. Deve farsi spazio sul terreno roccioso che domina i ghiaioni. La vista è magnifica e spazia su di una miriade di cime a tutto tondo, mentre sotto i piedi la parete degrada bruscamente verso la valle di Bordaglia. Saliamo una fascia di rocce dove una postazione vigila il nostro procedere. Aggirata la dorsale comincia la parte più interessante dell’uscita, quella dove ben pochi si sono avventurati, almeno negli ultimi anni.

Abbandoniamo il tracciato CAI mirando alla cresta che si allunga verso il Biegenkopf. Il terreno è splendidamente roccioso alternato a minute isole verdi che aiutano la progressione. Raggiungiamo la prima cima triangolare, alla nostra destra la parete salta 400m di spazio alpino offrendo una visione unica. Si va per creste, con alcuni passaggi delicati su rocce rotte, su di un filo che è linea di cresta e percorso ideale da seguire. Alcuni passaggi di I° e II° ci depositano dove la cresta abbassa le difese e raggiungiamo la nostra meta di lì a poco, guadagnando lo spiazzo dove cent’anni fa trovavano ricovero i soldati impegnati in questo tratto di fronte. Marco ispeziona le rocce prospicienti in cerca di graffiti lasciati dai soldati. Ho imparato grazie alla sua bravura che molte rocce in questi contesti di prima linea serbano ricordi e scritte di quanti passarono mesi della loro vita in questi nidi d’aquila. Postazioni lontane dagli agi del fondovalle, probabilmente era più sopravvivenza che altro. Lascio gli amici impegnati nella loro passione e approfitto per spingermi ancora oltre, fin dove un piccolo muretto proteggeva gli italiani dalle pallottole austriache. Davanti a me un canale scende ripido e risale alle cime del Biegenkopf, su quelle che furono gli avamposti dell’esercito austroungarico.

Non riesco ad immaginare come doveva essere. Oggi quello che mi circonda suona la sinfonia dell’autunno, una musica che si espande prepotente dalla cima alle valli. I sospiri del bosco arrivano fin quassù, dove un versante incontra l’altro sulla sottile linea di una cresta che sta sotto ai miei piedi.
Cresta è divisione fisica che decide il destino di una goccia d’acqua. E’ uno spazio aereo dove l’equilibrio perde la propria autostima, è un tragitto immaginario per chi ha il coraggio di andare oltre il sentiero.

Due postazioni dell’esercito italiano guardano a nord. Servivano a sparare i proiettili d’artiglieria verso chi stava dall’altra parte. Mi fermo un attimo in questa casupola semibuia con un tetto fatto da lamiere sbilenche e grosse putrelle metalliche; per pareti grossi blocchi di calcare carnico, quello che mi piace stringere quando arrampico. Un quadro è appeso al muro di fronte: un dipinto di luci e colori, di massi e valli punteggiate da boschi di abeti. E sopra a tutto il cielo blu di questa calda autunno. Non è un quadro: è la feritoia da cui usciva la canna dei cannoni da montagna ma oggi questo riquadro di cemento stanco permette di guardare dall’altra parte senza pregiudizi. Preferisco pensarla così. Un dipinto che si offre senza limiti e senza paure. In questa tana d’alta quota già in troppi non hanno potuto pensare che quota 2436 è, in verità, un tempio della montagna dove la solitudine è una parte importante di quella sinfonia che risuona, quassù più che altrove, a gran voce.

Info utili: La cima del Monte Volaia, montagna simbolo della zona, è raggiungibile in maniera diretta attraverso il sentiero CAI 176 che, in circa 3.30 ore, porta dalla località Canobbio di Collina a quota 1260m alla cima rocciosa lungo la valle del rio Chianaletta. La parte finale che va dalla sella con evidenti opere militari alla cima vera e propria va percorsa con più attenzione e si svolge su terreno roccioso a volte esposto (alcuni tratti E.E). La quota 2436 (riportata così sulla cartografia storica ma in effetti trattasi di quota 2428 m) si raggiunge verso nord lungo alcuni resti del sentiero di guerra di servizio agli avamposti (poco visibile), destreggiandosi tra passaggi in cresta, anche molto esposti, e tratti friabili, dalla cima del Monte Volaia in circa 0.45 ore – pass. di I° e II°. Nessuna attrezzatura in loco. Per l’interno percorso le tempistiche complessive si aggirano sulle 7/8 ore, dislivello positivo di 1300m.

Le numerose iscrizioni e i graffiti rilevati dall’amico storico Marco Pascoli sono documentate sul sito http://www.graffitidiguerra.it che consiglio di visitare!

Un pensiero su “2436m di solitudine

  1. Luogo a me caro per innumervoli motivi.
    Lo scatto col Rauchkofel sullo sfondo è davvero un classico 🙂https://1.bp.blogspot.com/-SqLbx18CjBE/W-fcghNK2QI/AAAAAAAArSU/s4qhcP6081kVy8oCFVZkzINoZhOLIaOrgCKgBGAs/s1600/DSCN1045.jpg.
    Grazie del giro, per me virtuale stavolta, ma ci tornerò prima o poi.
    P.S. belle le foto!

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