Il Re dei becchi

30.12.2015

E’ alle prime luci del mattino che il Montasio infuocato ci guarda. Stiamo passando in rassegna le malghe ai suoi piedi, dirigendo verso Ovest. Una traversata in quota che pare tenerci a debita distanza dalle pareti meridionali di questo colosso. Montagna salita più volte in passato, discesa alla stessa maniera con serpentine bianche che restano indelebili passaggi della mia vita.

Oggi valicherò quella sorta di confine invisibile che per me è stato rappresentato sin’ora dalla fine dell’altopiano, pressappoco sotto ai versanti meridionali del Monte Curtisson.

Se lo guardi dalle montagne più alla moda, o comunque più frequentate, come il Canin e il Forato, il Montasio sorge da una spianata d’erba e rocce stranamente piatte in questa valle che di sdraiato non ha nulla.

La Raccolana ha scavato i versanti, si è fatta un letto di pietre senza lasciare spazi per comodità e agi.

Vuoi viverci? Ti adatti.

Come fecero al tempo gli abitanti che hanno strappato lembi di sassi e spazio ad una natura selvaggia. Definibile alquanto cocciuta, a voler essere gentili.

I nostri scarponi scivolano sul ghiaccio vivo della strada, rimasugli e ricordi di una nevicata di novembre che non ha avuto seguito.

Mi rendo conto di aver varcato la soglia di un Mondo sconosciuto quando, seguendo il sentiero CAI 621, lascio alle spalle la tranquilla spianata di casera Pocol, ultima verso occidente di un mondo agricolo d’altura. Scendiamo nel bosco verso una mulattiera che taglia in quota questi pendii scoscesi.

L’antipasto lo fa una strada forestale che agevola il passo.

Il primo è servito quando mettiamo piede sulla mulattiera che segue e che seguiremo dando al sole il tempo di farsi calore in cielo e sulla pelle.

La traccia è ricavata nei versanti e si mantiene in quota oltrepassando un’infinità di canali e macchie di boscaglia. Poi una fitta al cuore alla vista dei primi alberi bruciati, resti del devastante incendio dell’anno scorso.

“Sono 3 stambecchi quelli là!?” – Si. 3 bestiole vagano sulle terre arse e annerite. Ci guardano da lontano e si spostano con movimenti lenti, fluenti anche dove il terreno si fa salto roccioso. Vederli vagabondi in queste distese di rocce nere abbrustolite e sterili mi procura tristezza.

Il fuoco ha messo a dura prova queste pendici che sarebbero brulle anche senza l’infierire della fiamma. Il calore ha smosso tutto, perfino i sassi. La zappa della brace è entrata in profondità nella terra, ha spaccato i legami di piante nate sui dirupi e confortate unicamente dal sole dei versanti meridionali. Le ha ammazzate. Stordite e annerite versano a terra mostrando radici un tempo forti, ventose di una vita stentata.

Anche la terra, magra, in alcuni punti si mostra vinta e senza coesione. Alcune piccole frane ingombrano la traccia ma le oltrepassiamo senza difficoltà.

I pensieri oggi corrono come le suole degli scarponi e in un tempo indefinibile siamo al bivio dove il sentiero 640 abbandona il suo compare che porterebbe alla località di Piani, giù in fondo alla valle.

Saliamo a serpentine serrate un valloncello prativo che si fa ripido fin sotto una grande struttura rocciosa dai contorni sfocati e le mille forme. L’antro è butterato da sassi di varie dimensioni, dagli strani accostamenti di cromie. Sassi più o meno piccoli sembrano attaccati con lo sputo del creatore, che in qualche punto non ha retto alla gravità.

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Antri, pareti, concrezioni

Sottostiamo a queste sculture naturali attraversando in quota ancora verso occidente ed incuneandoci nel successivo vallone, più mansueto del precedente verso l’alto a quanto pare. Il tracciato sale lesto e ripido, una volta non avevano tempo da perdere e ogni allungamento inutile era tempo sprecato o tolto alle faccende di fondovalle.

In alto si muovono gli stambecchi. I sassi che corrono verso il basso li denotano, basta seguirne la traiettoria per intercettare con lo sguardo 4 zoccoletti che rapidi corrono su rocce, baratri ed erbe secche. Le loro armi sono queste, armi che possono essere fatali se te le becchi in testa.  Viste le pendenze i proiettili calcarei viaggiano ad una certa velocità. Che poi, a dire il vero, non sarei nemmeno contrariato da questa forma di autodifesa animalesca se solo il bersaglio fosse un cacciatore anziché il sottoscritto che ama tutte le bestie.

Saliamo attorniati dai membri di un branco che si sta facendo numeroso. Un paio di maschi prospettano lunghe corna ma paiono piuttosto impauriti dalla nostra presenza. Scattiamo numerose foto finché scoviamo il vero boss della situazione, il guardiano dell’harem, il vero “cornuto” per eccellenza. Se ne sta discosto dal gruppo in posizione dominante, si vede che non vuole aver grane. La sua mole incute un reverenziale timore. Non sono uno specialista ma credo che si tratti di un esemplare piuttosto anziano viste le dimensioni delle corna. Pacifico siede sul suo trono di roccia, proprio nei pressi del tracciato del sentiero. Non resta che tentare la foto spettacolare con “Il capo dei Becchi”- Oramai la nostra presenza pare accettata dal branco che ci dà la schiena. Nel farci vicini al capo tuttavia il bestio si alza sulle 4 zampe e senza troppi preamboli ci mostra le sue armi migliori. Sono 2, piuttosto grosse e piuttosto lunghe. Dopo una fischiata che fa accapponare la pelle con una delle 2 zampe anteriori raspa a terra e ci punta. Torna a sedersi. Siamo tipi svegli, non servono altri avvertimenti. Gli stiamo sulle scatole, indigesti, questo è il suo regno e non dovremmo essere qui.

Messaggio telegrafico ma dalla chiarezza disarmante.

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Il Re dei becchi
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A debita distanza..

Quanto si può imparare dal Mondo animale? Tanto. Un mondo senza compromessi e false verità. Mi stai sulle scatole? Te lo dico. Se non lo capisci peggio per te. La nostra ipocrisia umana dovrebbe essere presa a cornate ogni tanto, come risolvono gli stambecchi. Semplice e pratico.

Giungiamo, guardandoci il didietro come non mai, alla forcella che segna il confine tra Sud e Nord. Forca di Vandul. 2 Mondi completamente differenti si incontrano su questa striscia di terra larga 1 metro. Sulla destra sta un pilastro di calcaree dalle forme invoglianti. “Max, ci facciamo un tiro di corda e conquistiamo il torrione?” Ma poi mi affaccio dall’altra parte e la torre nana altro non è che la punta dell’iceberg, minima parte di una parete che a Nord degrada per centinaia di metri in uno stretto canale dalla fine non intuibile. Una sensazione di vuoto compatto, quasi stomachevole. Non ho mai sofferto di vertigini ma questo solco che ho davanti mi inebria e ubriacandomi toglie ogni certezza delle mie capacità. Impressionante è l’aggettivo che mi esce di bocca, altri non ce ne sono o non renderebbero onore alle forze della natura che hanno portato a questi risultati stupefacenti.

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Forca Vandul
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All’attacco del tratto attrezzato

Ci aspetta il tratto attrezzato, comincia poco oltre e ci siamo già messi l’imbrago. Un cordino sale teso nei salti di roccia finali che portano alla dorsale de La Viene verso il bivacco Sandro Del Torso. Un centinaio di metri o giù di lì, una zeta tra le aeree cenge di questi prati e siamo alla splendida dorsale che garantisce l’accesso ai prati di cresta. A sinistra una valle dai connotati carsici, scende ripida verso la valle Raccolana di cui si intuiscono solo le ghiaie del fondovalle. A destra uno degli spettacoli più grandiosi delle Alpi Giulie con la parete Ovest del Montasio in bellavista, la Clapadorie, la Nord del Curtisson ancora più slanciata e paurosa di quello che appariva dalla forcella.

L’eco dimora su queste pareti, ne ho la prova.

Buca la paurosa muraglia di pietra e vuoto solo l’uscita della ferrata Norina in cui ci caliamo per qualche metro spinti dalla curiosità per un tracciato che ho tanto sentito nominare e che probabilmente fra qualche tempo mi vedrà protagonista di una salita.

Il Cimone è lì, vicino ma lontano. Troppo per i nostri tempi come sempre rosicati. Oggi ci fermiamo qua, in questo angolo solitario di Alpi Giulie, inedito punto di vista su cime note. Balcone di erbe ingiallito tra le cenge pronte all’inverno che non arriva.

La prospettiva quassù gioca con noi e mentre le distanze viste  da Est sembrano minori, valutate da quassù paiono per quello che sono. La sostanza è che tornare all’auto sarà una bella scarpinata. Quindi gambe in spalla, se il boss degli stambecchi ci lascerà passare indenni, domani ne racconterò un’altra.

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Panoramica

Omarut e Max

INFORMAZIONI UTILI: La via più rapida per giungere al piccolo ma ben tenuto Bivacco Del Torso è quella che partendo dai piani del Montasio a quota 1502m taglia in quota i versanti sopra la Val Raccolana (sent. CAI 621 e 640) risalendo alla forca di Vandul e quindi, con breve tratto attrezzato, alla dorsale del pizzo Viene ove è edificato il ricovero (quota 2100m). Il tratto attrezzato risulta breve e di difficoltà limitata ma comunque si consiglia la percorrenza con il materiale da ferrata (Kit, imbrago e casco) per l’ingente presenza di stambecchi e la frequente caduta di pietre dall’alto. Posti stupendi ed inediti. Sul podio stagionale per bellezza della location.

Tempi indicativi di salita: 2.30/3 h – Dislivello: 600 ca

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