22.02.2019
Non poteva che nascere così, inattesa ed imprevista. Perché scendere con gli sci quel canale lì è stato spesso un pensiero che non è mai andato oltre il balenio di un guizzo nel cervello, sotterrato quasi subito dalle altre mete. Più confortevoli, più trafficate. Di sicuro più blasonate quello no, perché l’Huda Paliza vanta un fascino tutto suo che da sempre ha attirato sciatori provetti.
Cominciai a sentire parlare di questo canale attorno al 2000, quando due miei colleghi passavano notti al bivacco Mazzeni. Un tetto di lamiera in Spragna offriva riparo per i miei amici in cerca di emozioni bianche sul far del giorno. Erano levatacce. Neve sfatta scurita dalle scariche di sassi e terra. Mentre la gente normale, se così vogliamo definirla e per un pezzo della mia vita ne ho fatto parte, andava a prendere la tintarella in riviera. Negli stessi giorni c’era chi risaliva alle 5 della mattina questi canali appartati per discenderli sugli sci.
Forcella Mosè, Lavinal dell’Orso, Huda Paliza. Lo chiamano il trittico della Spragna. Quello che trasforma lo scialpinista della domenica in un rude scialpinista degno di ammirazione e rispetto. Ma alla fine…
Passano gli anni e capito come i fiocchi di neve degli inverni, a volte, pure io in Spragna. Con gli amici si mira dapprima al Lavinal dell’Orso, la discesa più abbordabile delle tre.

Poi viene la volta della Forcella Mosè che scendo con quel paio di giorni di ritardo per trovare le condizioni perfette che tutti decantano. Discesa su neve strana ma il divertimento c’è lo stesso. Con Carlo e Max non può che essere così. All’Huda butto solo un’occhiata fugace, troppo fuori dalla mia zona di confort, troppo alta, troppo stretta, insomma… Troppo per me.
Così dimentico quella linea, faccio finta che non esista più. “In Spragna ho fatto tutto”, dico per convincermi. Come se per forza una parte dello scialpinismo friulano non dovesse, ostinatamente, orbitare proprio in quella conca di Alpi Giulie. Quello spazio tanto intenso di montuosità che ogni scialpinista amante dei versanti Nord, nel fondo del proprio io, tiene in serbo per i pensieri del “sarebbe bello” e del “magari un giorno”..
Ci voleva un messaggio di Max per smuovere il torpore dove l’idea di scendere l’Huda s’era arenata. Senza grande convinzione rispondo che possiamo darci un’occhiata. Conscio sempre più che la teoria del “si va a vedere che a tornare in dietro c’è sempre tempo” sia quella giusta.
Siamo in Saisera attorno alle 8. Forse tardi per questa salita. Sono 1400m di ascesa per le mie gambe che, quest’anno sugli sci, possono contare la bellezza di 3 uscite e 2600m di dislivello all’attivo.
La pista di fondo è silenziosa così come tutti gli spazi verticali che racchiudono l’alta Saisera. I versanti Nord del Montasio non offrono certo profili rilassanti con le guglie che si susseguono senza soluzione di continuità. Pareti che schiacciano a terra, dislivelli inaccessibili. Pensare allo scialpinismo qua pare perfino fuori luogo.
Poi superiamo la stretta in fondo alla valle inoltrandoci nel bosco di radi faggi che fanno da sipario alla Spragna. E’ un circolo freddo dove tutto converge attorno al fulcro del Biv. Mazzeni che so esistere senza vederlo. Lasciamo le numerose tracce di chi ha diretto verso il Lavinal dell’Orso, nonostante un pezzo di montagna sia caduto sul percorso lo scorso anno, e miriamo ad un ansa in questo mare di pietre e valanghe. Giri l’angolo e ti trovi all’interno di un canyon cinto da cascate di ghiaccio bluastre e qui sai che stai tagliando il cordone che ti lega al Mondo del basso. Saliamo un canale con gli sci in spalla per uscire sui pendii superiori dove una coppia, nei giorni precedenti, ha lasciato un messaggio bianco per noi sulla neve. Sono serpentine, sembrano felici (questa è per Max). L’ingresso del canale è li a poche centinaia di metri.

E’ una linea retta che ci sormonta. Una geometria astrale e sublime dove alte pareti lisciate tracciano argini di confini fatti per scendere. Spazi di gravità dove noi, testardamente, sfidiamo il corso della natura andando contro corrente. D’estate rotolano ghiaie. Nel bianco scivolano a valle sassi e piccoli proiettili di ghiaccio.
Il fondo è perfetto, una neve compatta che si lascia scalfire dalle lamine e si offre alle pelli in maniera adeguata ad una tenuta che dà sicurezza.
Salgo silenzioso. Ho netta la sensazione d’essere entrato in santuario naturale, in uno spazio che non è fatto per noi ma che c’è dato da vivere per pochi attimi. Qualcuno dice che Huda significhi “Diavolo” o comunque qualcosa che centra con cattivo, malvagio. Ecco perché salgo sicuro ma piuttosto impressionato. Chi c’ha preceduto da un po’ ha messo gli sci nello zaino, noi siamo saliti oltre i 2/3 del canale con le pelli. E’ tempo di mettere i ramponi.
Il cielo aspetta la primavera, ci sono nuvoloni viola e porpora che paiono vomitare i primi temporali di stagione. Arriverà solo qualche fiocco dal cielo che puntuale viene sputato a valle dalla gravità. Poi, verso la cima, un cielo blu segna il confine tra ascesa e discesa. Mi caccio in un buco profondo, al riparo dal vento freddo delle Giulie e dai miei stessi pensieri.
Ti aspettavo da almeno 15 anni. Ho voluto con me oggi le mie cose vecchie per sapere che questa discesa è nata lontano nel tempo, figlia di altre discese, di altre sconfitte, di tanti giorni bianchi nelle gambe. Accompagnato dai miei bastoncini storici, brutti ma efficaci. Da un paio di scarponi vecchi, che si bloccano se ne hanno voglia e che mi fanno male ai piedi. Da una giacca che non fa moda, che è bucata un po’ ovunque e con quei fori mi ricorda ogni singola battaglia, ogni innamoramento bianco, ogni schiaffo che il vento m’ha dato. Da un amico che vede di me come io vedo di lui.



Fatta. E ora, cosa resta?
Gli sci mi portano lentamente al parcheggio, scivolando lenti sulla pista di fondo.
La leggerezza mi pervade. Credo che oggi sia uno di quei giorni che segnano una linea nell’anima.
Non più pensiero ma storia vissuta.
Info utili: Si può parcheggiare l’auto presso il parcheggio nelle vicinanze della ex polveriera (Saisera alta) giungendo in Val Saisera da Valbruna. Si segue la pista di fondo fino al ponticello in cima alla valle dove, sulla destra, il sentiero estivo per il Biv. Mazzeni porta a entrare nella Spragna. Raggiunto il letto di un canale che arriva da destra, seguirlo e risalire il piccolo canyon sulla sinistra che transita sotto alcune cascate di ghiaccio (zona solitamente svalangata) uscendo in alto lungo la strettoia superiore. Risalire quindi gli aperti pendii mantenendo la destra fino a intravedere l’accesso del canale Huda Paliza. Da qui è impossibile sbagliarsi.
Consigliabile sin da qui indossare il casco. Risalito il canale, in base all’innevamento, si può uscire o meno sulla forcella prossima alla cima di Terrarossa. Discesa lungo l’itinerario di salita con pendenze medie di 40°/45° e qualcosa di più nella parte alta del canale (primo tratto dalla forcella pendenza di 50°).
Dislivello 1450m alla cima , diff. O.S.A (PD-E2-4.1), tempi di salita attorno alle 4 h.
Imperativo percorrere l’itinerario con condizioni ambientali favorevoli (nevi assestate).
omarut con “santuario naturale” hai detto tutto! non serve aggiungerci nulla… a parte che si è visto che ero felice e che you are idiot… huahahhahahah
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