La “bella” di Riobianco

Di Sally Assandri

Se dalla Val Rio del Lago alziamo la testa verso il gruppo di Riobianco, salta subito all’occhio l’appuntita silhouette della Cima Alta di Riobianco che, appunto, ne è capitana. Tra le sue sorelle, però, c’è una cima sicuramente meno ambita ma non per questo dalla minor bellezza.
Oggi voglio portarvi sulla Vetta Bella e per ascendere ai suoi m. 2.049 partiremo proprio dalla valle sopracitata, imboccando il sentiero CAI 625.
La salita verso Capanna Brunner è una passeggiata su una traccia non troppo ripida che costeggia il Rio Bianco e i suoi meravigliosi giochi d’acqua. I colori della faggeta, i numerosi massi erratici e lo scalpiccio degli scarponi sul fondo ghiaioso ci accompagnano durante l’intera passeggiata. È facile distrarsi e non sentire troppo la fatica e non è raro imbattersi in qualche camoscio curioso. Il modesto spiazzo in cui sorge il rifugio sembra un fresco preludio. Con il naso all’insù corriamo alla doppia schiena della nostra meta che si staglia contro il cielo, quasi fosse una dolcissima collina.
Dietro alla capanna troviamo un piccolo cartello scritto a mano che indica la giusta direzione. Noi, con quell’emozione tipica delle nuove scoperte, imbocchiamo la via mostrata: una traccia che s’inoltra per pochi metri nel bosco prima di scendere ad attraversare il rio. Risalito il lato opposto, è come se si dischiudesse un mondo nuovo. I bassi mughi che proteggono il sentierino incassato ci avvolgono come in un abbraccio e protetti dal loro confortante profumo avanziamo, innalzandoci progressivamente.


Il sentiero gira poi decisamente verso destra, portandoci verso la parete. Con passo deciso attraversiamo le ghiaie instabili sotto il muro roccioso, aggirandolo e godendo dell’ampia vista che si spalanca dinnanzi e cinge l’intera vallata, con le sue candide ghiaie e la rigogliosa selva. Con un po’ di difficoltà percorriamo un tratto sassoso che con i suoi massi “equilibristi” richiede un minimo di attenzione e che ci conduce a un canalino facilmente superabile con alcuni semplici passaggi di arrampicata. Per i meno avvezzi alle gioie dell’arrampicata, c’è un’irta traccia poco più a destra che ci permette di raggiungere la spalla più in alto. Il panoramico sentiero ci porta ad attraversare le sabbie instabili e, lungo un percorso ripido e stretto, dove più volte le possenti radici dei mughi offrono sostegno e la nuda roccia invoca il nostro tocco, sbuchiamo sotto il canale degli Ometti. Le curiose torri ci osservano silenziose, come a guardia di quel magico mutismo che è insieme pace e melodia. La loro mole incombe sulla nostra fatica e ci indica di proseguire verso sinistra, sui prati alpini solcati dallo stretto sentiero.


Il fiato si fa più corto mentre la quota si alza e ci ritroviamo alla base di un ampio pascolo. Vediamo in alto il capo del nostro obiettivo e la voglia di raggiungerlo cancella in un attimo la fatica da testa, polmoni e gambe. Ci avviciniamo velocemente e gli ultimi metri, con la bianca roccia, colmano il cuore di quella gioia appagante che solo chi ama la montagna con tutto se stesso può comprendere.
Allora possiamo lasciare gli occhi vagare, abbracciare il circo delle piccole di Riobianco, il bivacco Gorizia, involarsi fino al Mangart e lo Jalovech, affondare nella profondità della Valle di Riofreddo per poi ritornare in alto sulle Rondini.

Ogni cima insegna qualcosa di nuovo, qualcosa di se stessa ma soprattutto qualcosa di noi che ancora ignoravamo.

Alla prossima lezione…


Un pensiero su “La “bella” di Riobianco

  1. Cara maestra (sfrutto l’equivoco che puo’ nascere leggendo distrattamente le ultime righe… 😛 ) detto da te “il fiato si fa corto” é un’affermazione mooolto didascalica,tendente alla citazione. Gli appassionati della montagna meno dotati, atleticamente e tecnicamente parlando,fra le cui fila mi annovero, apprezzeranno certamente questa tua buddhistica condivisione della sofferenza. Dai che scherzo,anzi no! Ciao! (tanto non mi leggi…) 😉

    P.S. Bella la foto del camoscio.

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