20 marzo 2019
Poi tutto ha un senso mentre volteggi su quella distesa bianca che pare polistirolo. Anche se per arrivare in vista di quei penitentes di roccia che segnano l’arrivo c’hai messo quattro ore. Anche se ti sei fatto kilometri a piedi con gli sci nello zaino, e gli scarponi pure.
Anche se, oltre a te e il tuo amico di ventura, non c’è segno di vita per distanze di rocce, mughi e neve – a parte la lepre che non si capisce proprio come abbia fatto a salire da sud e scendere a Nord, verso il Cadore.
Anche se gran parte delle persone che pensano di parlare e masticare montagne nel Nord Est si fermano 25 km in linea d’aria più su, dove all’orizzonte si stagliano 3 cime che già nel nome portano il loro stato elitario.
Oggi per noi la Tacca del Cridola rappresenta quello che chiediamo alla montagna bianca ogni volta che ci spingiamo verso l’alto sci ai piedi. Solitudine, montagna profonda, scorci e scrigni che sanno di intimi abbracci, infinite sfumature nei colori della roccia, e neve da sciare tutta d’un fiato. Fermarsi sarebbe un sacrilegio, la rottura di un legame di per sé già effimero perché scritto con l’inchiostro del ghiaccio che al sole si scioglie.

Questa salita, nota nell’ambiente dello scialpinismo seppur ai margini dei desideri principali, ha atteso la perseveranza dell’amico Max nei miei confronti. Perché sapevo da racconti vari che l’avvicinamento ai pendii sciabili avviene lungo una valle d’accesso piuttosto lunga. Spesso scarna di neve. Ma forse oggi è stata la maniera giusta. Addentrarci lentamente in uno spazio dove chi sale deve farlo obbligatoriamente prendendosi il tempo che ci vuole. Tutto ha un tempo prestabilito. Le rocce si sono prese intere ere geologiche per spiccare verso il cielo, brandendo pareti scure e strapiombi gialli.
I larici si prendono lo spazio dell’inverno per sopravvivere perché con i caldi della primavera ci saranno gemme rosa e aghi verdi a ridare colore.
I mughi il tempo non lo calcolano mai, prostrati come sono sotto la neve invernale o nel caldo agostano. Venerano queste cime atterriti dalla bellezza della moltitudine di guglie.
Con fatica e il giusto tempo guadagniamo la forcella che segna il nostro traguardo ultimo. C’è parecchia neve nuova caduta gli scorsi giorni e siamo i primi a conoscerla quassù. Le cose che aspettano da un po’ sono quelle che, decantando nello spazio dove regna la curiosità, nascondono lo stupore. A sud l’orizzonte si infrange in un mare di picchi che luccicano ammiccanti. Ma la nostra discesa guarda il Cadore e il candore scuro del versante settentrionale dove, ben nascosto tra gli spigoli di queste vette, c’è un mare di curve che attende noi inguaribili naviganti d’alta quota.
Omarut e Max
Info utili: Provenendo dal Friuli parcheggiare l’auto presso lo spiazzo con edificio a quota 990m in discesa dal Passo della Mauria (indicazioni per il Bivacco Vaccari). Seguire in discesa la strada forestale che si addentra nel vallone verso il gruppo del Cridola, lungamente a lato del torrente fino alle opere di captazione dell’acquedotto (1h). Superiormente i pendii vanno aprendosi e il vallone di salita è evidente sulla sinistra. Risalito lungamente verso quota 2000 si procederà verso destra (la forcella è intuibile) lasciando a sinistra il vallone, interrotto da barre rocciose più verticali, che conduce al Biv. Vaccari. Gli ultimi 100m sono i più ripidi.
Tacca del Cridola: quota 2290m – Dislivello 1350m dal parcheggio – diff. B.S+O.S (P.D.-E1-2.3+3.1) – Tempo 4h dal parcheggio
Un pensiero su “Una tacca in più”