Autunno sopra la valle del Vipacco: due ferrate che uniscono la grazia delle colline alla verticalità della pietra. Una salita concatenata, tra fossili, luce e silenzio.
La valle del Vipacco, vista da sotto, è tutta una carezza di colline e di borghi. I campanili, i tetti rossi, le vigne ordinate. Dalle pianure slovene si alzano onde di rilievi dolci, come se la terra avesse dimenticato la parola aspro.

Eppure, proprio sopra a Gradišče pri Vipavi, s’innalza un dente di calcare, chiaro e verticale: la Gradiška Tura. È qui che comincia la mia salita, in una mattina d’autunno limpida e tiepida, con quell’aria che sa già di foglie e di pietra calda.
Il sentiero d’avvicinamento parte poco sopra il campeggio Tura, tra muretti a secco e querce stentate. In dieci minuti il bosco si chiude intorno, poi si apre su una fascia di ghiaioni bianchi, dove la luce rimbalza con violenza. Solo le foglie arrossate del Sommacco riescono ad addolcire un pò queste ghiaie spigolose.
Verso l’attacco un grande masso ricorda Fricu Furlanu, alpinista deceduto su queste pareti scaldano. La ferrata che percorreremo è a lui dedicata. È una via storica, tracciata nel 1969, e porta ancora in sé qualcosa di artigianale, di montanaro. I cavi seguono la linea più logica, gli appigli sono quelli che offre la roccia: nulla di forzato, nulla di superfluo.
Appena si mette mano al primo cavo, dopo un breve tratto di arrampicata che fa da filtro, la valle si stacca sotto i piedi. La roccia è bianca, levigata, quasi madreperlacea. Se ne percepisce una frequentazione alta. Ogni tanto, tra una fessura e l’altra, affiora un frammento di conchiglia pietrificata, un fossile chiaro come un sorriso antico.
Salgo lentamente, con il piacere di sentire il ferro vibrare sotto le dita e la roccia cedere appena alla suola. È una via che nella prima parte concede la possibilità di guardarsi attorno, svolgendosi spesso tra placche dove la vegetazione è aggrappata alla parete. Un percorso che si fa con accortezza e non richiede particolare forza: il ritmo del respiro si adatta al passo, le braccia trovano il proprio compasso.



La Furlanova Pot sale obliqua, si distende, poi si raddrizza per brevi salti verticali. L’esposizione cresce aggirato uno spigolo. E’ un bagno di sole e vuoto, anche se lo spazio sotto ai piedi non è mai brutale. Alle spalle, la valle si apre come una carta geografica: il Vipacco serpeggia tra campi e vigneti, e in lontananza si intravedono i rilievi del Carso.
L’aria è ferma, quasi primaverile, e il sole di ottobre colora tutto d’oro pallido. Dopo una quarantina di minuti di arrampicata, il cavo finisce. Resto un attimo fermo, con le mani sulle ginocchia e il fiato corto. La Furlanova Pot è finita, ma la montagna continua a chiamare.
Un breve traverso nel bosco, in discesa su rocce rotte comunque attrezzate con corrimano, porta all’attacco dell’altra via, la Otmarjeva Pot, che si alza subito davanti come un invito e una sfida. Qui la parete cambia tono: più verticale, più diretta, più “moderna” nella concezione.
I pioli si fanno più ravvicinati, il cavo sale dritto, senza esitazioni. Attacco la prima placca e il corpo si risveglia: la roccia, ancora più chiara, è fitta di cavità, di piccole conchiglie incastonate, di ricordi marini che ora si sono fatti montagna.
Il primo tratto è verticale, deciso, poi arriva un passaggio leggermente strapiombante che richiede uno sforzo in più. Le braccia tirano, le gambe spingono, il ferro canta sotto la tensione. Dietro, la valle del Vipacco si fa lontanissima, una macchia verde e gialla che si perde verso occidente.
A metà salita, una serie di bellissimi passaggi su placche inclinate regalano un attimo di tregua. Mi volto indietro: il vento porta il suono di una campana, e il fiume in basso è solo un nastro luminoso.
Mi viene da sorridere — non di conquista, ma di gratitudine. La seconda parte della ferrata è un alternarsi di verticali e traversi, di sezioni aeree e tratti più lavorati. L’Otmarjeva è più atletica, ma mai violenta: serve equilibrio, serve fiducia, serve la calma del gesto.





Quando arrivo in cima, il cavo finisce tra gli arbusti bassi. Respiro a lungo. Il vento ha cambiato direzione, porta un odore di terra e di legna bruciata: l’autunno pieno.
Mi siedo su un blocco di calcare vicino alla croce di vetta, il bianco della roccia accende la luce del pomeriggio.
Sotto di me, la valle del Vipacco è un mosaico di morbidezze, e per un attimo tutto sembra immobile, in equilibrio perfetto.
È una ferrata che non misura solo la forza, ma anche la capacità di stare nel presente, di ascoltare il paesaggio che muta — di sentire che il corpo e la roccia, qui, parlano la stessa lingua.
La discesa segue un sentiero, solo a tratti ripido, tra carpini e roverelle. Il rosmarino selvatico attecchisce alle fessure delle rocce circostanti, con attenzione si può immaginare il suo profumo mediterraneo. Ogni tanto la vista si riapre: le pareti che poco fa mi sorreggevano ora stanno nuovamente sopra alla mia testa, silenziose e bianche. Riflettono come specchi e su quegli specchi in molti oggi si stanno arrampicando.
Le riconosco come si riconosce un volto amico.
La luce si abbassa, la valle si copre d’ombra. È il momento perfetto per tornare giù, con le mani ancora sporche di calcare e il cuore pieno di gratitudine.

INFO UTILI: Le ferrate sul Gradiška Tura sono state realizzate nel 1969 e nel 2019. Le attrezzature sono sempre sicure seppur, in alcuni casi, realizzate con “estro” (simpatici i tubi per l’acqua che sorreggono il cavo nel traverso tra le due ferrate). I due percorsi risalgono il versante meridionale della montagna, sfruttando alcune prominenze che emergono dall’uniformità del pendio.
Luogo: Gradiška Tura – Gradišče pri Vipavi (Slovenia)
Ferrate percorse: Furlanova Pot + Otmarjeva Pot (concatenate)
Quota di partenza: parcheggio a ca. 260 m, attacco ferrata Furlanova a quota 380m circa
Quota massima: ca. 793 m
Dislivello complessivo: ~ 510 m
Difficoltà: Furlanova Pot B/C – Otmarjeva Pot C/D
Sviluppo complessivo ferrate: 200+450 m
Tempi indicativi:
Avvicinamento: 15 min
Furlanova Pot: 40–50 min
Traverso: 10 min
Otmarjeva Pot: 1 h circa
Discesa: 45–60 min
Esposizione: Sud – ottimo in autunno e inverno
Materiale consigliato: set da ferrata, casco, guanti, scarpe tecniche aderenti
Dall’uscita della prima ferrata è possibile raggiungere la cima tramite un sentiero escursionistico. E’ inoltre possibile evitare il tratto più impegnativo della seconda ferrata con un by-pass ben visibile in loco, mantenendo un grado di difficoltà C.
Il rientro al parcheggio avviene attrverso un sentiero escurisonistico (indicato da cartello nei pressi della cima con croce)
Consigliata a persone preparate che abbiano la giusta dimestichezza con percorsi di questo tipo (la necessaria assenza di vertigini è implicita…).
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