25.01.2017
Ho la caparbietà di innamorarmi spesso di luoghi negletti, di posti dove non passa anima viva da un bel pezzo. E lo faccio spesso, soprattutto d’inverno quando scorgere linee bianche tra i boschi delle alpi Carniche significa per me, il più delle volte, scoprire. Esplorare, verbo quasi estinto al giorno d’oggi seppur in voga nella mia testa quando giro per monti.
Non ricordo quando diedi la prima occhiata a questa linea bianca incastonata tra i boschi, forse nel 2012 mentre vagavo alla ricerca di altre linee salibili in maniera più diretta e scontata. Eppure quella volta bastò che i miei occhi vedessero un piccolo frammento di ghiaccio della sua linea per prenotare un contatto diretto nei tempi a venire. Che poi, come in questo caso, ci siano voluti anni per ritrovarci è una sottigliezza. La Carnia non è di sicuro il regno delle arrampicate sul ghiaccio, cascate o colate salibili si contano sulle dita di una mano.. E l’idea che profuma di esclusività mi inebria ancor di più.
Sapevo comunque che non sarei stato il primo a battere le picche sul ghiaccio di questa cascata: dialoghi con dei locals mi confermarono che fu salita già attorno agli anni ’90, ma poco importa.
Qua devi cogliere l’attimo perché domani potrebbe essere già troppo tardi. Un periodo di freddo così duraturo ha dato modo a numerosi rigagnoli della Valle del But di farsi gelo e rendersi salibili dagli appassionati dell’arrampicata sul ghiaccio. Il fatto è che io e Marco sappiamo che non troveremo nessuno davanti a noi.
Niente file, niente attese, niente chiasso, niente urli, niente. Perché gli appassionati del ghiaccio sono altrove. E noi allora cosa siamo? Appassionati, ma alla nostra maniera. La scelta di concedere una chance alle nostre montagne vale più della salita di una linea classica del circondario.
All’inizio del Moscardo, nei pressi della vecchia torre, lasciamo l’auto e dirigiamo appiedati verso la linea vista anni fa. E’ nuovamente lì dove la lasciai e pare essere in ottima forma. Dobbiamo solo risalire i boschi basali cercando di approcciarci nella giusta maniera al canale che la genera. Oltre il coreografico ponte, risaliti un paio di tornanti della pista ciclabile, lasciamo la retta via e ci inoltriamo per boschi. Le tracce della civiltà contadina che fu qua si fondono con dei presidi della prima guerra mondiale, o meglio ciò che ne resta. Vaghiamo quindi per i boschi di questa montagna, il Tenchia, la montagna delle streghe. A terra il fondo è duro come il cemento, l’atmosfera è ferma, immobile come sempre in queste mattine di gelo.
Incontriamo finalmente il canale fatto di grossi sassi glassati dal ghiaccio. E’ un canale incassato e scontroso, risalirlo senza ramponi sta cominciando ad essere difficile. Poco oltre gli spazi per un attimo si aprono e concedono la visione di due linee di ghiaccio. La nostra è la principale ed è anche la più lontana, servirà ancora qualche fatica ma il canto che l’acqua produce sotto i sassi lascia presagire quantità di ghiaccio interessanti. Ed effettivamente il colpo d’occhio della colata principale, una volta giunti alla base, è incoraggiante: una bella placca che si perde in alto nei boschi.
Non resta che approfondire questa conoscenza.
Marco mi assicura mentre risalgo la prima lunghezza. Il ghiaccio a tratti è molto sottile, si vede il flusso fluido scorrere nelle vene di questa colata, la cosa fa quasi paura. Scelgo le traiettorie per restare nelle zone più spesse, i chiodi ringraziano. La lunghezza non oppone difficoltà particolari ma va bene così, solo raggiungere la sosta mi lascerà con il fiato sospeso per un passaggio obbligato sopra ad un sasso piuttosto liscio. Assicuro Marco che sale veloce togliendo le protezioni.

Il secondo tiro è suo, più verticale, al sole. Un sole che oggi torna ad essere caldo dopo un lungo periodo di freddo. E il calore non fa bene alla nostra colata, sta sudando, s’è fatta sottile, rimbomba sotto ai colpi di Marco come fosse la grancassa della banda di paese. La definizione da manuale parla di “arrampicata sulle uova”. La farò anche io, poco dopo assicurato ad un grosso abete poco oltre il salto più verticale.
Con un piccolo trasferimento pianeggiante, ostacolato da piante e grossi massi franati, raggiungiamo un altro piccolo dislivello ghiacciato. Saranno 10m di 3°.
L’ultima lunghezza sarebbe davanti a noi, candida nella sua essenza ma completamente esposta al sole. Pericolosa in sostanza.
Guardo le dorsali boscate che mi stanno di fronte, verso il Monte Paularo il sole da la parvenza della primavera.
L’uscita della cascata è uno stretto cono al di sopra delle rocce, gocciola in maniera cospicua ed è preoccupante pensare ad una sua risalita.
Decidiamo per la discesa, torneremo un’altra volta per completarne l’ascesa e scoprire se la linea può avere un ulteriore ed interessante sviluppo verso l’alto.
I resti di un cordino scolorito ci guardano mentre effettuiamo la discesa in corda doppia, sono molto più bassi della nostra posizione e defilati dal centro del canale. Immagino che quella volta fossero saliti con condizioni di ghiaccio decisamente diverse. Predecessori malati di ghiaccio carnico.
“Piccoli Pellegrini” è dedicata a un nostro caro amico e quello che lo aspetta dal futuro. La vita è un ciclo, si cresce, si cambia, si viaggia. L’importante è avere dei punti fermi, saldi come le montagne. Quando ci sono, l’avvenire sarà solo una gioia.
Omarut e marco
INFO UTILI: “Piccoli Pellegrini” è un flusso ghiacciato di rara formazione e ancor più rara salibilità. Si forma dal rio che scende dal Monte Tenchia nei pressi della centrale idroelettrica della SECAB, in prossimità dell’avvenieristico ponte della pista ciclabile nei pressi della torre Moscarda di Paluzza.
La base si raggiunge in 35/40 min senza grosse difficoltà. Il primo tiro, di 2°, è lungo circa 30m con sosta da attrezzare sugli alberi di sinistra. Il secondo tiro fa 45m, di 3°, e conduce ad un pianoro sommitale dove si sosta su alberi. Con breve trasferimento di affronta un altro piccolo salto ghiacciato verticale (10m – 3°) e quindi il tiro finale di 3° per 25/30m. Calata in corda doppia lungo la via di salita. Cascata già salita da ignoti nei tempi andati.
Yo, un saluto dal savalon.
Grazie, come sempre, delle tue belle parole di montagna e di passione, così anche chi è lontano può godere delle tue esperienze…
a presto
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