L’urlo del Casaro (the cheesemaker’s scream)

05.01.2019

Qualche giorno fa mi sono permesso la frequentazione di un corso di Freeride, quello che un tempo chiamavano semplicemente fuori pista. Ho voluto provare a migliorare la mia tecnica di discesa sugli sci. 3 giorni intensi in cui , per la prima volta, ho fatto parte di una comitiva guidata da Guide Alpine professioniste. Ci sta.  Cercavo dritte su come impostare curve, piegare meglio le ginocchia, spingere sugli scafi. Il riassunto di 3 giornate è stato condensato in una frase: “il freeride è scendere un po’ come si vuole”. Del resto lo dice la parola stessa. Cavalcata libera senza vincoli imposti.

Qualche giorno fa in Austria era inverno pieno, di quelli dove la barba ti si increspa coi fiocchi di neve che cadono dal cielo. A -14° ero un ebete a guardarli cadere, ridendo come un bambino senza avere freddo. Perché qua, ora, in Italia, quei fiocchi sono il regalo più desiderato che non ho trovato sotto l’albero di Natale. E devo farmene una ragione.

Il freddo, almeno quello, ricorda di essere in inverno.

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Recupero l’amico dopo la prima lunghezza di corda. Ci stiamo inerpicando in una gola ghiacciata senza sapere come sarà il viaggio di andata e, tantomeno, quello di ritorno. Freeride, un termine che gira in testa come un mantra.

La goulotte non si vede per intero, la sua vista è sempre interrotta da qualche salto più verticale che tiene sospesa anche la nostra curiosità. Ci alterniamo al comando, fantasticando su quanto ci circonda e sulle maniere sempre differenti di creare una sosta che sia degna di questo nome.

Le viscere del Casaro sono buie ma di fronte, al sole, gli abeti oggi urlano con il vento del Nord. E’ un attimo in cui tutto si cristallizza. E c’è dentro questo sole freddo la malinconia delle montagne che ci circondano perché stanno piangendo lacrime di ghiaccio. I tronchi, devastati dalla furia di novembre, sono rimasti lì. La coltre bianca offrirebbe forse una degna sepoltura, quantomeno temporanea, ma questo è l’inverno della tristezza – forse pensato per non rivolgere troppo presto la nostra attenzione ad altri divertimenti futili. E allora la neve non arriva nemmeno a coprirli, quegli scheletri di legno riversi.

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Terza sosta. L’abete è inglobato nel ghiaccio. Viveva chissà dove, sulle sporgenze sopra il canale, ora è qua schiantato ai nostri piedi che offre quel che resta della sua dignità.

Quarta sosta. Le frane, a tratti, ingombrano il canale. Rocce fresche, rami, coriandoli di montagna abbandonati in un posto dove nessuno dovrebbe metterci piede.

Quinta sosta, torno al sole. L’umore si risolleva perché, tra i raggi, cadono fiocchi bianchi che arrivano trasportati dal vento di chissà quale cielo. Che siano i messaggi delle montagne del Nord che mandano a salutare queste cugine devastate?

Sesta sosta. Lo scivolo bianco s’interrompe bruscamente nei pressi di una grotta. Da qui nasce la colata che abbiamo scalato nelle ultime ore. Non si può andare oltre seppur questo vivere intimo con la montagna ci abbia rapito, un po’ stregato, e vorremmo continuasse ancora.

“L’urlo del Casaro”, il suo ghiaccio, conserverà per l’inverno quanto successo 2 mesi fa da queste parti. Quanto non si era mai visto prima tra queste montagne.

Freeride, forse anche per la salita questo termine potrebbe essere utilizzato. Salire liberi dalle mode, dalle folle. Liberi di andare un po’ dove la curiosità fa da navigatore. Non sempre si scoprono gioielli ma, spesso, esperienze di vita che valgono molto di più!

Omarut e Ashley

 

 

INFO UTILI: Il canale del Rio Casaro risulta già salito in passato da ignoti ma non è certamente una classica come altre salite in zona. L’avvicinamento, che dura circa 15 minuti, avviene risalendo il rio in secca prospiciente al tornante a monte nei pressi della Baita Rododendro sulla strada che da Cima Sappada (BL) porta alle sorgenti del Piave.

E’ una goulotte che si sviluppa per circa 200m alternando tratti più appoggiati a dei brevi risalti verticali. E’ possibile risalire per circa 6 lunghezze di corda mantenendo alla netta biforcazione del canale la parte di sinistra (la colata di destra muore dopo un breve muro verticale). Soste da attrezzare così come le calate che si effettuano in corda doppia. Noi abbiamo utilizzato dei massi appoggiati e un ramo incastrato nel ghiaccio.

Non per i fortissimi, nemmeno per i forti ma per chi vuole conoscere una montagna fino nelle viscere!

 

4 pensieri su “L’urlo del Casaro (the cheesemaker’s scream)

  1. Buongiorno,

    magari sbaglio ma ho come l’impressione che una H e una E siano fuggite dal titolo,giu’ sino in fondo al crepaccio sito ai piedi del monitor,sfruttando la svelta e discreta cascata di ghiaccio. 😉

    "Mi piace"

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