Li ho guardati per tre anni, esaminandoli attentamente. E per tre anni ho visto il migrare dei colori di quei pascoli. Dal giallo spento che succede alla neve primaverile, al verde acceso delle prime erbe, che riprendono vigore tinteggiando nei colori della primavera, quelle verdi dorsali così vicine eppure, per tre anni, così lontane. A dividerle dalla mia dimora estiva, il rifugio De Gasperi, il solco vallivo dell’alta Pesarina, dove il continuo scrosciare delle acque del torrente Malins si stringe al fratello maggiore per la sua corsa verso il mare.
Distese di prati morbidi che ad agosto, improvvisamente, si fanno gialli e presagiscono, nemmeno lo sapessero, il finire della stagione estiva e della mia permanenza sui monti. La vista di quelle dorsali ha accompagnato momenti felici e tristi, attimi di estasi mentre il temporale è ad un passo ma non fa paura, vicino al rifugio. I fulmini notturni delle sere d’estate che si scaricano sul Morgenleit, sono tra i più bei ricordi di quel periodo della mia vita oramai terminato.

Ma se il cuore può avere radici anche profonde, le gambe di chi vuole conoscere il più possibile della propria terra non hanno pace, e mi trovo oggi – oramai libero dagli impegni – a risalire la strada di servizio verso quella malga che domina in alto quei pascoli. Voglio finirci dentro in quei prati, e vedere com’è guardare il gruppo del Clap dall’altra parte. Capire da dove partono quelle mucche che sono state formiche bianche sulla groppa di un gigante verde per tre stagioni. Vedere, annusare, conoscere un po’ più in là.
La strada sale costante nei pressi del torrente che porta ancora i segni inconfondibili del disastro di Vaia. Regna un silenzio pesante, rotto solo – più su – dalle pietre che un paio di camosci fanno rotolare verso il basso.
La salita corre veloce. Il potere ipnotico dei propri passi non lo ricordavo e guadagno quota velocemente, tra pensieri che rimbalzano tra questi boschi come fa l’eco sulle pareti.
Quando la strada volge a oriente, un odore pervade l’atmosfera catapultandomi alla mia infanzia e alle prime escursioni per monti. La memoria olfattiva mi riporta a quelle malghe e a quei prati, a quelle prime passeggiate in famiglia dove si piantò a fondo quell’amore per la montagna che in seguito è cresciuto così tanto. Perché il profumo delle ortiche e del rabarbaro alpino sa di buono e genuino e presagisce la vicinanza ad una casera.

Ed eccomi qua, sbucato dal bosco in vista di quelle formiche bianche che si sono trasformate in delle placide manze al pascolo. Sono in vista di Malga Malins, finalmente raggiunta. L’edificio è posto in un contesto idilliaco, con le Dolomiti Pesarine dall’altro lato della valle e che forse, oggi, sono anche un po’ gelose. Ma il posto è talmente bello che mi concedo una lunga pausa. Il camino fuma, l’odore della tradizione della nostra terra: odore di faggio, segno che l’affumicatura delle ricotte è in corso. E scoprirò successivamente che la malga gira a pieno regime, con la gentile gestrice che facendomi da Cicerone mi porta negli angoli più intimi dell’edificio dove il casaro accarezza le nuove forme in produzione e le braci fumano essenze da trasmettere a quei pezzi bruniti che diverranno prelibatezze sulla tavola.
Sulla trave d’ingresso alla Casera, un nome tra i tanti non passa inosservato.
Incisioni di chi ha passato qui la stagione dell’alpeggio. La Carnia, profonda, è anche questo: spazi di silenzi attorniati da boschi che la notte parlano. L’ ho vissuto anche io al rifugio De Gasperi, ed è un regalo che pochi possono ricevere. Gli animi più sensibili poi, quei suoni e quelle sensazioni uniche, le mettono sulla punta della loro penna. Anche Mauro Corona passò a Malga Malins, chissà se in uno dei suoi libri qualche anima di questi monti è diventato racconto?




Lo spettacolo del casaro intento alla produzione del formaggio o le fiamme del ceppo che regalano alle forme quell’inconfondibile sapore. Una vera emozione, resto veramente colpito da quanto bello sia questo angolo di paradiso. Dopo anni di rocce sopra la testa, avere dei prati così floridi che cullano la vista è senz’altro piacevole.
Saluto e proseguo.
Non so bene dove andrò a finire, non avendo fatto piani particolari, ma la displuviale verde soprastante mi attira innegabilmente. E quindi lungo la strada che collega malga Malins alla sella di Festons mi incammino, per abbandonarla poco dopo. Una valletta sulla sinistra mi invoglia alla percorrenza seppur non ci siano sentieri tracciati. Solo rododendri che attendono l’estate per sbocciare e piccoli larici. Più su gli ontani proteggono le cime smussate a cui miro, ma sarà una dolce lotta per la progressione. Dirigo alla massima elevazione, scelgo la linea di massima pendenza e “sbuco” letteralmente su quella cima dal nome germanofono. Il Morgenleit è un pulpito d’eccellenza su questo pezzo di Carnia. Il lago di Sauris in sottofondo colpisce per il colore delle sue acque, sul monte Bivera la neve ancora resiste a chiazze mentre dalle rocce rossastre delle Dolimiti Pesarine un temporale procede spedito, accompagnato da tuoni e dall’inconfondibile cupezza delle nubi.
Meglio non fare da parafulmine! Scendo zigzagando verso i laghi di Festons, che paiono dall’alto delle mie riprese aeree il Rio delle Amazzoni. L’idea di proseguire sulla dorsale di cresta viene abortita alle prime gocce che mi raggiungono. Continuo allora verso la conca di Malga Rioda, che vedo in lontananza oltre i giardini di rododendri che mi circondano.
Sarà una lunga cavalcata in quota. La malga è ridotta piuttosto male, l’edificio del malgaro è distrutto, i segni di un incendio sono inequivocabili e raccontano di quanto avvenuto. Le fiamme si sono prese quanto potevano, non toglieranno la memoria delle fatiche di chi, quassù, ha passato le sue stagioni. Ripenso allo stipite di malga Malins, a quei malgari, agli amici che “tengono duro” giù al bar di Pian di Casa, a quanto ho fatto quassù. A tutti quelli che custodiscono questi luoghi.
Il sentiero comincia al termine dei prati, dove i larici si fanno scontrosi e i faggi si stringono fitti prendendosi presto la scena principale.
Ho visto il mio orizzonte, ora ce ne saranno di nuovi.




INFO UTILI: Punto di partenza per questa escursione è la località di Pradibosco, in Val Pesarina, 8 km dopo l’abitato di Pesaris. Nei pressi della stazione a valle dello skilift è possibile parcheggiare (quota 1130 m) incamminandosi poi sulla strada di servizio per la malga Malins (cartelli in loco). Seguendo la strada (segnavia CAI 204A) in 2 ore si raggiunge l’alpeggio a 1685m. Da qui verso occidente, mirando alla sella di Festons lungo la strada sterrata che porta alla forcella di Festons con la zona dei laghi (CAI 204). Dalla sella una breve salita porta alla vicina cima del M. Morgenleit a 1971m (3.30h). Rientrati verso malga Festons, sulla sinistra, si prende la strada forestale che conduce alle costruzioni di casera Rioda (CAI 205 dismesso – 4.30/5h). La trattorabile termina nei pressi degli edifici. Continuare in quota sulla marcata mulattiera che si stringe a sentiero nei pressi del bosco a quota 1690m ca. Da qui in picchiata verso casera Tamarut nel fondovalle; seguendo dapprima la pista di fondo e quindi quella di discesa si rientra al punto di partenza (6 ore circa). Il giro così descritto comporta un dislivello positivo di 950m e uno sviluppo di circa 15km.
Vi fate un’idea dei posti descritti nel video qui sotto: